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Cos’è quella scia di sangue nel Mare del Nord?

Il 14 agosto, in mezzo alla sonnolenza agostana, una scia di sangue ha tracciato il freddo Mare del Nord. Non per una guerra – non lassù, almeno –, non per una strage di cetacei – la “tradizionale” caccia al globicefalo delle Isole Faroe si è svolta in giugno – e nemmeno per una calamità naturale. No, questa volta è successo qualcosa di diverso: è successa un’opera d’arte.

Il filosofo americano John Dewey sosteneva che l’arte è un’esperienza, meglio ancora un’«esperienza consumata» (lett. «consumatory experience») nel senso più “biologico” del termine: qualcosa di vissuto appieno e interiorizzato, che ci dà nutrimento (cfr. J. Dewey, Arte come esperienza, 1934). Tra tutti i tipi di esperienza artistica, ce n’è uno che a mio avviso oggi (ma da sempre) dovrebbe godere di maggiore attenzione, e lo riporto con le parole di Vincenzo Trione: «l’arte come esperienza conoscitiva, eminentemente politica» (V. Trione, Artivismo, Einaudi 2022, p. 13), intendendo qui politica nel senso più “alto”, che riguarda lo stare insieme nel mondo.

Questo è lo sguardo con cui osservare la più recente opera di Anish Kapoor, Butchered (lett. macellata), realizzata in collaborazione con Greenpeace UK. Alcuni attivisti si sono arrampicati in una delle trenta piattaforme offshore per l’estrazione del gas del colosso Shell presenti nel Mare del Nord, hanno srotolato una gigantesca tela bianca di dodici metri per otto e versato sopra mille litri di un liquido rosso sangue1, che ha macchiato la tela come una ferita aperta, gocciolando lugubre in acqua. Da vicino, ma ancora più da lontano, l’effetto scenografico è da brividi.

Le compagnie fossili sono tra i più grandi soggetti inquinanti al mondo, e nell’inquinare il mondo e la popolazione che lo abita siedono su montagne di soldi. Greenpeace e altre associazioni analoghe non sono le uniche a dirlo: fonti che qualcuno potrebbe definire “più obiettive” e/o “più autorevoli” lo confermano. L’ultimo report (datato 2023) della piattaforma open source Carbon Majors, che raccoglie dati su 180 aziende produttrici di cemento e attive su fonti di energia fossile, segnala che il 53% delle emissioni di CO2 mondiali (22,5 gigatonnellate) viene prodotto da sole trentasei multinazionali delle fonti fossili; tra queste c’è ovviamente Shell, ma anche Eni (con l’ “aggravante” che Eni, come anche molte altre della lista, sono statali)2. Tutto ciò è una ferita letterale nel nostro ecosistema (umano, vegetale, animale) ma anche una ferita morale che Kapoor ha voluto evidenziare con il potente linguaggio dell’arte: in questo l’opera diventa informativa e politica. Come spiega ancora Trione, «gli artisti sensibili alle tematiche ecologiste», che per fortuna cominciano a essere tanti, «pensano il proprio mestiere come pratica etica: strumento dotato di un valore cognitivo, capace di rendere visibili problemi ambientali urgenti» (V. Trione, op.cit., pp. 100-101). La tela di Kapoor è visibile: un’opera gigante, mai fatta prima. “Lo abbiamo fatto per mostrare chi sono i veri inquinatori” ha detto Greenpeace, con una richiesta semplice: “gli inquinatori devono pagare” (con relativo lancio di petizione online).

E Kapoor? Questo il suo commento ufficiale:

“I wanted to make something visual, physical, visceral to reflect the butchery they are inflicting on our planet: a visual scream that gives voice to the calamitous cost of the climate crisis, often on the most marginalised communities across the globe. BUTCHERED is also a tribute to the heroic work done in opposition to this destruction, and to the tireless activists who choose to disrupt, disagree and disobey”3.

La Shell, invece, per ora non ha replicato, e sembrerebbe che l’opera di Kapoor, con la sua scia di sangue, sia ancora appesa lì. Visibile.

L’antropologo Claude Lévi-Strauss4 proponeva l’idea di arte come strumento di apprendimento della realtà: Kapoor lo esegue alla lettera e prova ad accendere i riflettori sulla realtà della crisi climatica mondiale, meglio ancora sui suoi responsabili, quella fitta rete di soggetti per cui oggi diversi pensatori concordano nel sostituire la parola antropocene – termine con il quale finora si è intesa la nuova epoca geologica iniziata con la rivoluzione industriale, riconoscibile tra le altre cose nell’impennata della CO2 in atmosfera – con capitalocene: non l’essere umano (anthropos) nella sua essenza e interezza è responsabile di questa crisi, ma un suo prodotto, che evidentemente gli è totalmente sfuggito di mano: il capitalismo, il profitto.

Ma quali occhi stanno guardando? Non un trafiletto sull’edizione cartacea del “Corriere della sera”, nemmeno tra i flirt delle star e le interviste ai dj dell’estate su questo tema; non un misero link sul sito di rainews – suppongo ancora meno un servizio tv. Facendo una piccola indagine personale, moltissimi dei miei conoscenti, di questa azione, non hanno saputo niente. Forse, nel 2025, anche per l’arte è dura superare quella «grande cecità» teorizzata da Amitav Gosh a proposito della crisi ambientale. Ma se neanche ci provasse? Ora che la conosciamo, consumiamo (come direbbe Dewey) questa esperienza artistica regalataci da Anish Kapoor e proviamo a trarne un po’ di luce per illuminare quel buio dei tempi che nemmeno lui, maestro del “nero più nero”, potrebbe mai replicare.

 

NOTE:
1 – Il colorante utilizzato a richiamare il colore del sangue era un misto di acqua di mare, grani di caffè decaffeinato e polvere di barbabietola – decisamente non inquinante. Lo specifico a malincuore perché c’è chi pensa – in questo caso come in tanti altri analoghi ma molto più ridotti – che degli attivisti per l’ambiente possano cadere nell’errore così grossolano di utilizzare coloranti inquinanti per le loro proteste. 
2 – Qui il report. Sulla correlazione tra calamità ambientali e umane e aumento della CO2 mi auguro non serva dedicare altro spazio. 
3 – Traduzione mia: “Volevo realizzare qualcosa di visivo, fisico e viscerale per restituire il massacro che stanno perpetrando sul nostro pianeta: un urlo visivo che desse voce ai costi disastrosi della crisi climatica, che spesso si riversano sulle comunità più marginali del globo. BUTCHERED (lett. “macellata”) è anche un tributo al lavoro eroico fatto in opposizione a questa distruzione e agli instancabili attivisti che scelgono di interrompere, dissentire e disobbedire”. Il commento è pubblicato qui. 
4 – In G. Charbonnier, Entretiens avec Claude Lévi-Strauss, Press Poket, Paris 1969, p. 164, citato in V. Trione, op.cit., p. 99.

Photocredits Greenpeace UK

Giorgia Favero

plant lover, ambientalista, perennemente insoddisfatta

Vivo in provincia di Treviso insieme alle mie bellissime piante e mi nutro quotidianamente di ecologia, disillusioni e musical. Sono una pubblicista iscritta all’albo dei giornalisti del Veneto, lavoro nell’ambito dell’editoria e della comunicazione digitale tra social media management e ufficio stampa. Mi sono formata al Politecnico di Milano e all’Università Ca’ Foscari Venezia in […]

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