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Sesso fantasmagorico. Kafka nell’era digitale

L’app Satisfyer e i sex toys compatibili permettono di connettersi tramite smartphone e procurarsi orgasmi reali a distanza, usando l’interfaccia del sistema per inventare frequenze di vibrazioni personali e creare un archivio di opzioni sempre a disposizione, da eventualmente condividere con altri utenti, che possono fare altrettanto. Ne vien fuori una sorta di libreria digitale di frequenze orgasmiche pubbliche: niente male!

Starò mica proponendoti l’ennesimo web-content sponsorizzato? Ti rassicuro: nient’affatto. Piuttosto, Satisfyer rappresenta l’emblema di uno tra i tanti «scollamenti» dovuti alle tecnologie digitali1: lo scollamento tra presenza e localizzazione, tra esserci ed essere in un luogo fisico. Dalla pandemia, è diventata condizione quotidiana: possiamo essere insieme, cioè essere connessi e interagire, senza trovarci nello stesso posto – basta una rete sufficientemente affidabile. Chiedere a qualcuno con cui stiamo parlando faccia a faccia di indicarci la sua posizione è ormai un gesto normale come tanti altri: un tempo, sarebbe stato segno di dissociazione mentale.

Nel caso di Satisfyer, questa condizione si traduce nella possibilità di procurarci piacere fisico in tempo reale senza contatto e compresenza – almeno secondo i canoni pre-digitali, appunto: tu sei, perché no, in treno e io a una conferenza. Per molti, ci scommetto, questo è più un male che un bene: segnerebbe la fine del Vero Sesso™️ o qualcosa del genere, trasformato sempre più in un’attività virtuale alienante e finta, che produce un pallido simulacro dell’orgasmo reale. Su queste basi, Satisfyer può persino diventare l’icona dell’immersione radicale nella vita schermica, che ci sta talmente rimbambendo da farci perdere ogni contatto con la realtà del “mondo là fuori”, quello in carne e ossa – in senso mai così letterale come in questa circostanza. Sarebbe la fine dell’umanità.

Eppure, c’era chi preconizzava lo stesso drammatico esito con le care vecchie lettere d’amore dei nonni, che oggi suscitano spesso la nostalgia per i bei rapporti genuini dei tempi andati – dimenticando peraltro come esse fossero anche sconce, rappresentando quasi rudimentali beta version di Satisfyer!

A temere il peggio era per esempio nientemeno che Kafka2. In una corrispondenza intrattenuta con la traduttrice Milena Jesenska-Polak, per cui aveva perso la testa, lo scrittore ceco arrivò a lamentare che le lettere sono disumanizzanti: siamo agli inizi della primavera del 1922, stagione in cui – si sa – gli amori sbocciano come i fiori, e Kafka si fa prendere la mano (non per modo di dire), confessando all’amata che «tutta l’infelicità della mia vita deriva dalla possibilità di scrivere lettere». Il problema sarebbe questo: le lettere non solo pretendono invano di sostituirsi alla comunicazione e interazione faccia a faccia (nonché corpo a corpo, cosa qui decisamente rilevante), ma generano addirittura una fastidiosa sensazione di auto-dissociazione tra il sé scrivente e il sé scritto, con il secondo che viene trasmesso e messo in circolazione sganciandosi dal primo e cominciando a vivere di vita propria, come un avatar incontrollato. Insomma, Kafka si lamenta che le lettere trasformano i rapporti d’amore tra persone vere in «contatti tra fantasmi», innescando nientemeno che «un terribile logoramento delle anime»: i baci tra amanti reali diventano baci tra spettri virtuali.

C’è però una soluzione, prosegue Kafka, che evidentemente non ha mai dovuto fronteggiare le spedizioni-lotteria di Poste Italiane: invenzioni come treno, automobile e aeroplano permettono agli amanti di raggiungersi fisicamente prima che riescano a farlo le loro lettere, rendendole di fatto inutili. Lieto fine in vista? Rivincita del «contatto naturale» e «pace delle anime» riconquistata? Per nulla, perché poi a far riprecipitare tutto ci penserebbero telegrafo, telefono e radiotelegrafia, ossia le telecomunicazioni, che rendono le trasmissioni di informazioni nuovamente più rapide degli spostamenti fisici, consentendo così agli spettri di prendere il sopravvento finale: «gli spiriti non moriranno di fame, noi periremo». Una tragedia in piena regola.

Su queste basi, oggi Kafka facilmente sentenzierebbe che i teleorgasmi via smartphone testimoniano il definitivo trionfo degli spiriti, che si impadroniscono direttamente dei corpi e li rendono digital-zombie. Eppure, per esempio grazie alle telefonate – nonché prima ancora alle lettere, come mostra lo stesso caso di Kafka – abbiamo imparato ad amare persino in maniera arricchita, aumentata: “mi ami, ma quanto mi ami?”.
Sicuri, dunque, che l’umanità stavolta davvero stia perdendo la propria vera essenza e correndo verso la fine? E se invece il sesso spettrale si rivelasse fantasmagorico? C’è solo un modo per scoprirlo: provarlo!

 

NOTE
1. Vedi sinteticamente L. Floridi, Digital’s Cleaving Power and Its Consequences, in “Philosophy & Technology”, n. 30, 2017, pp. 123-129.

2. Citazioni provenienti da F. Kafka, Lettere a Milena, Giuntina, Firenze 2019, pp. 266-267.
[Photo credit Vinicius “amnx” Amano via Unsplash]

Giacomo Pezzano

Radical Candor, concettofilo, post-ironico

Se avessi un motto, sarebbe qualcosa come: “non conoscere le idee, ma avere idee!”. Faccio il ricercatore all’Università di Torino e negli anni mi sono occupato soprattutto di antropologia filosofica, filosofia critica e ontologia, cercando di tenere insieme il rigore della ricerca e il mordente della comunicazione. Ho scritto – in ordine sparso – post, […]

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