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Non c’è amore che non sia naturale: l’omosessualità nel “Simposio” di Platone

Tutti noi conosciamo, almeno per sentito dire, l’espressione amore platonico, talvolta abusata ma comunque divenuta parte del linguaggio ordinario anche di chi non sa cosa significhi e da dove provenga. Essa trova la sua massima formulazione nel Simposio1, un dialogo di Platone tra i più noti, sul quale si è detto e teorizzato tanto. Ha attraversato in lungo e in largo i secoli, imbevendo delle sue magnifiche parole sull’Amore pagine e pagine di filosofi, pittori e letterati. Eppure non sempre ha trovato spazio un momento specifico del Simposio: il discorso di Aristofane.

Conosciamo molto bene il punto più alto dell’opera, il grande discorso di Socrate che, riportando le parole della sacerdotessa Diotima, ci racconta della natura doppia di Eros, figlio di Poros (espediente) e Penìa (povertà). Questi si troverebbe a metà tra il mortale e il divino, sarebbe cioè un daimon, e consisterebbe nel desiderio di qualcosa di bello e buono che ancora non si possiede. Ma che dire di quanto vien detto prima di questa perspicua sezione del dialogo? Tra i tanti partecipanti del convivio dedicato all’Amore in occasione dei festeggiamenti della vittoria del poeta tragico Agatone, prende infatti parola Aristofane, il commediografo noto per la sua avversione nei confronti di Socrate.

Ed in effetti le sue parole son tutto meno che insignificanti. Nell’arco testuale 189A-193E si parlerà di Eros con una bellezza ed una salienza che verrà eguagliata solo dalle parole di Socrate. Per parlarci dell’Amore, Aristofane si avvale di un mito noto come mito degli androgini. In origine – ci dice il commediografo – esistevano tre sessi di uomini: i maschi, le femmine e gli androgini, composti per metà dal maschio e per metà dalla femmina. Del tutto autosufficienti e a sé bastanti, tali uomini erano così pieni di sé da sfidare gli dei, peccando di hybris e portando Zeus all’estrema decisione di folgorarli e scinderli in due individui destinati a un agognato destino: cercare in lungo e in largo la propria metà. Eros diviene così una tensione all’Unità, la nostalgia di un’interezza perduta e mai più ritrovabile, giacché, anche se in comunione, le due parti non produrranno mai un intero indissolubile, essendo il Tutto maggiore della somma delle parti.

«Dunque, da così tanto tempo è connaturato negli uomini il reciproco amore del uni per gli altri che ci riporta all’antica natura e cerca di fare di due uno e di risanare l’umana natura» (191D).

Non solo il mito degli androgini si rivela stimolante e suggestivo, ma ci permette di fare un passo in avanti verso un’altra considerazione. Per la prima volta nella storia della filosofia, infatti, Platone sembra offrire una legittimazione all’omosessualità senza che questa passi per promiscuità, disadattamento o deviazione. Anzi, è lo stesso Platone a parlare dell’amore come ricerca dalla propria originaria natura: non c’è nulla di più normale dell’uomo che cerca il suo uomo o della donna che cerca la sua donna. È vero, d’altra parte, che il mito degli androgini si chiude alla possibilità della bisessualità, non contemplando un soggetto che tenda a due nature, a due generi. Non è tanto interessante la centralità dell’amore omosessuale, che in Platone, coerentemente con l’ethos greco classico, trova spazio in svariati scritti (compreso lo stesso Simposio, se pensiamo alle parole messe in bocca a Pausania, che fa un elogio dell’amore tra uomini dello stesso sesso e un’apologia della pederastia, altra pratica amorosa tipica dell’antica Grecia). Semmai è interessante la razionalizzazione filosofica, la volontà di legittimare sia in forma mitica che in forma teorica l’unione omosessuale come sana, naturale e principio di felicità. Addirittura leggiamo, a proposito dell’amore tra uomini dello stesso sesso:

«In verità, alcuni sostengono che sono degli impudenti. Ma mentono, perché essi non fanno questo per impudenza, ma per arditezza, per fortezza e per virilità, in quanto hanno inclinazione verso ciò che è simile a loro. […] E quando siano diventati uomini si innamorano dei ragazzi e non si preoccupano delle nozze e della procreazione dei figli per loro natura, ma sono costretti a far questo dalla legge» (192B).

Stupisce, insomma, che non è tanto una necessità naturale, quella dell’unione eterosessuale, né lo è la procreazione, quanto una norma giuridica, un prodotto dell’ethos della polis, in altre parole una convenzione. Insomma, nel Simposio e nelle parole di Aristofane, l’omosessuale trova una prima illuminante illustrazione della sua normalità. È reso ordinario, naturalizzato e, soprattutto, ospitato dal discorso filosofico. Perché che si sia uomini o donne, il risultato non cambia, l’Amore rimane tensione all’Unità, desiderio, da due, di diventare uno solo, al di là di ogni tabù.

 

NOTE
1. L’edizione adottata è: Platone, Simposio, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2017.

 

Nicholas Loru

 

[Photo credit Hush Naidoo via Unsplash]

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