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Cronache dall’era (post)ideologica

Poche parole hanno un significato così vago e dai contorni così sfumati come quello di ideologia. Da un lato, tale caratteristica potrebbe apparire normale per un termine che nasce, di fatto, verso la fine del Settecento in ambiente illuministico e attraversa i secoli mutando il suo statuto: esso passa dall’indicare, letteralmente, lo studio della storia delle idee, a essere caricato dispregiativamente di un senso antifilosofico e antiscientifico. Con l’avvento del marxismo, la nostra parola ideologia si orienta a indicare l’insieme di dottrine etiche, religiose, politiche e filosofiche adoperate dalla classe borghese per esercitare il dominio sui rapporti di produzione e regolarne le dinamiche. Nel Novecento, poi, diventa senso comune utilizzare ideologia per indicare le grandi visioni del mondo contrapposte, nonché per riferirsi a ciò che i complessi apparati propagandistici dei regimi totalitari tentavano di inculcare nelle popolazioni loro sottomesse.

Oggi, se parliamo di ideologia, pur volendo indicare in maniera neutrale e generica un insieme di valori e credenze appartenenti a un determinato gruppo sociale o politico, sottintendiamo, inevitabilmente, un giudizio negativo nei confronti dell’argomento che stiamo trattando. Questo è, in parte, dovuto a un residuo inconscio che il termine in questione porta con sé; d’altro canto non manca la presunzione di definire dispregiativamente ideologico un atteggiamento da cui ci siamo assicurati di essere a debita distanza: serpeggia, infatti, tra pensatori e gente comune, la percezione e l’idea di essere, finalmente, in un’epoca che si potrebbe definire post-ideologica. Pare che con l’avvento della post-modernità, ci si sia liberati dalle catene delle grandi narrazioni, dai macigni delle complesse impalcature di pensiero e che tutta la fluidità dell’identità relativista scorra come un fiume in piena, diramandosi in effluenti di molteplici visioni che spiegano parti della realtà in cui viviamo oggi.

Con una certa dose di kinismo1, per dirla alla Sloterdijk2, siamo convinti di agire in maniera composta e distaccata a ciò che ancora si propone sotto forma di pensiero ideologico, spesso facendoci beffe di coloro i quali ci appaiono come ingenui e creduloni. Lo stesso Sloterdijk, però, ci fa notare come oltre ad essere soggetti kinici, siamo soprattutto soggetti cinici: sappiamo benissimo, in realtà, che l’ideologia (o le ideologie?) non sono assolutamente sorpassate, che in realtà siamo immersi fino al collo in qualcosa che ci governa e ci manipola, e nonostante ciò, lasciamo a questo qualcosa le redini, quasi rassegnatamente.
Se consideriamo il punto di vista di un altro grande pensatore contemporaneo, Slavoj Žižek, che ha fatto della critica all’ideologia uno dei suoi vessilli filosofici, potremmo persino arrivare ad ammettere che non accettiamo l’ideologia perché ne siamo semplicemente sopraffatti, ma viviamo costantemente in essa poiché è il solo modo, per noi, di vedere e interpretare la realtà. Tutto intorno a noi è ideologico, poiché tutto il nostro mondo risponde a una necessità di simbolizzazione e l’entrata nell’Ordine Simbolico presume un prezzo da pagare.

Secondo Žižek, inoltre, la modalità ironica che utilizziamo per prendere le distanze dalla dinamica ideologica, non solo è già contemplata e accettata in questa stessa dinamica (quindi è ideologia anch’essa!), ma contribuisce ad avvilupparci ancora di più nel gomitolo ideologico, rendendo non solo vano, ma addirittura dannoso il nostro tentativo di fuga.
In questa prospettiva viene da chiedersi: si potrà mai uscire dall’ideologia e vedere le cose come realmente sono? Se vogliamo fidarci della risposta dello stesso Žižek, alquanto pessimisticamente, dovremmo affermare che non è per niente facile o scontato cambiare prospettiva. Uscire dall’ideologia significa anche essere disposti ad abbandonare il nostro terribile quanto rassicurante orizzonte di senso e fronteggiare quello che Žižek, sulla scia di Lacan3, individua come il Reale delle cose, ossia quel nocciolo angosciante e terrificante che si cela dietro la fantasia inconscia della nostra realtà quotidiana.
La passione per il Reale è un atto eroico e, in quanto tale, comporta il rischio di ricevere una sferzata mortale: quanto coraggio abbiamo per imbarcarci nell’impresa e quanto non-senso siamo in grado di sopportare?

 

Vittoria Schiano di Zenise

 

NOTE:
1- Con questo termine si vuole indicare l’insieme di comportamenti che mirano a canzonare l’autorità, rispondendo ai suoi dettami con sarcasmo e ironia; il kinismo vero e proprio affonda le sue radici nell’omonima scuola filosofica dell’antica Grecia, il cui capostipite fu Antistene.
2- Peter Loterdijk è un filosofo tedesco contemporaneo, autore della “Critica della Ragion Cinica”, uno dei saggi filosofici che ha riscosso il maggior successo mondiale, a partire dal secondo dopoguerra.
3- Jacques Lacan è stato un filosofo e psicoanalista francese, che contribuì allo sviluppo della psicoanalisi con le sue teorie sul godimento, il linguaggio e i tre Ordini secondo cui sarebbe strutturata la realtà umana. DI difficile interpretazione, dato il suo stile ermetico e oscuro, è ancora molto controverso, benché goda di importanti interpreti, tra i quali spunta, per l’appunto, anche Slavoj Žižek

[Photo credit pixabay]

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