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La dolce arte di esistere

Massimo è un ragazzo timido. La paura di confrontarsi con gli altri, con il rischio di finire al centro dell’attenzione, lo spaventa a morte. Viceversa Roberta ha un tale disagio interiore che per essere placato richiede sempre la presenza di qualcuno che la faccia sentire importante. I due giovani, apparentemente agli antipodi, hanno però una cosa in comune. Soffrono entrambi di invisibilità psicosomatica, una patologia che li fa scomparire quando si sentono a disagio. Potranno mai riuscire ad innamorarsi pur sapendo di essere destinati ad incontrarsi senza riuscire mai a vedersi? Pietro Reggiani, uno dei registi più promettenti del cinema italiano, torna a dirigere un film per il grande schermo dopo lo splendido ed intimista “L’estate di mio fratello”. Un ritorno che poteva consacrarlo definitivamente sulla scena nazionale e che invece rischia di rivelarsi un flop per una serie di spiacevoli inconvenienti. Quello che a noi interessa qui però è il lavoro concettuale costruito dietro alla pellicola. Una riflessione intelligente e mai banale che parte dal cinema per arrivare alla vita di tutti i giorni.
L’invisibilità cronica che colpisce i due protagonisti può essere letta sia come metafora della precarietà giovanile, a livello psicologico e lavorativo, ma anche come un bel parallelismo sul rapporto che c’è tra il cinema di cassetta e quello d’autore. Il grande male che affligge il nostro tempo sembra essere quest’ansia continua che porta le persone ad aver paura di esprimere la propria opinione e di mettersi in gioco in prima persona. Sono tantissimi i giovani, e non solo, che si rifugiano ogni giorno in una realtà virtuale dominata dai social network per esprimere quello che provano, quando in realtà i loro stati e i loro post sono solamente concetti e pensieri presi da altri autori. Senza dimenticare che rubare idee altrui spacciandole per proprie, resta il modo migliore per dire ciò che non si pensa. Un male che sembra colpire anche nel campo dell’amore, dove i giovani molte volte giocano a nascondere i loro sentimenti per paura di ricevere un rifiuto o una delusione. Perché affrontare i problemi veri della vita quando si può scegliere di scomparire, annullando sé stessi? Questa è una delle domande a cui Reggiani cerca di dare una risposta nella sua opera. Un lavoro ambizioso, che però in molti punti dimostra i limiti della sua italianità. Concettualmente è molto simile a un capolavoro come “La solitudine dei numeri primi”, pur non avendo la stessa forza visiva. A livello tematico ha la sfortuna di uscire poco dopo “Il ragazzo invisibile” di Gabriele Salvatores, che aveva riscosso un buon successo. Ecco allora che, pur essendo girato con una mano intelligente ed esperta, la povertà di fondi, un cast non troppo azzeccato e la discutibile scelta della voce fuori campo rendono questo film un capolavoro mancato. “La dolce arte di esistere” è al cinema dal 9 Aprile. Se lo vorrete vedere rimarrete piacevolmente sorpresi nello scoprire una bella storia, raccontata da uno dei cineasti che più meriterebbero di rappresentare l’Italia nel prossimo futuro. Non è molto forse, ma è la dimostrazione che una cinematografia italiana esiste ancora e vuole far sentire la sua voce. Ricordandoci infine che i primi a dover vivere le cose in prima persona, dovremo essere noi.
Alvise Wollner 
[Immagini tratte da Google Immagini]

Alvise Wollner

cinefilo, cinofilo, fotosensibile

Classe 1991, anno della capra, vivo tra Treviso e Venezia. Dopo la maturità classica e le lauree in Lettere e Giornalismo a Padova e Verona, ho pensato che scrivere potesse aiutarmi a vivere. Giornalista pubblicista, collaboro dal 2013 con la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e sono redattore del quotidiano online TrevisoToday dal 2015. […]

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