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Straziami, ma di sfumature saziami

Diciamolo subito: “50 sfumature di grigio” è un film che va oltre la critica. E’ un film che in realtà i critici non dovrebbero neppure guardare o cercare di commentare. Questo perché il film della furbissima Sam Taylor-Johnson è in realtà una pellicola che non tiene in considerazione la critica nemmeno per un momento. E’ un prodotto pensato, girato e creato a solo uso e consumo del pubblico. Poco importa se qualcuno dirà che si tratta di un porno mancato, o di un insipido dramma a metà strada tra “9 settimane e mezzo” e “Twilight”. Quello che conta è che se ne parli e che la gente paghi il biglietto per andare a vederlo. “50 sfumature” si trasforma così in un vero e complesso esempio di marketing transmediale, ammirevole per la sua capacità di creare così tanta aspettativa e così grandi dibattiti intorno a sé.

Il tutto avviene nell’epoca di Sanremo, della televisione con zero contenuti e della comparsa di una schiera incredibile di opinionisti da social network, convinti di poter dire qualsiasi cosa solo per il fatto di avere una connessione wifi. Il tocco di furbizia nasce allora nel momento in cui “50 sfumature” riesce a sollevare la morbosità del pubblico pagante. La sfumatura non è più una metafora per indicare gli insoliti gusti erotici del rampante Mr. Grey, ma si trasforma in una chiave per conquistare gli animi più repressi e curiosi in tutto il mondo. E’ il film simbolo delle casalinghe impiccione, delle studentesse frigide che sognano travolgenti storie con uomini che esisteranno soltanto nella loro fantasia. E’ il racconto di una passione che vorrebbe essere estrema ma che alla fine si rivela più conformista di tutte le altre.
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Un dramma melenso, più romantico che erotico, in cui la regia e la fotografia sono davvero di ottima qualità. Peccato sia solo una conseguenza dovuta all’enorme budget messo a disposizione per la realizzazione della pellicola. Rifacendosi al concetto transmediale di trasformazione della storia all’interno delle diverse piattaforme mediali, il film della Johnson capisce la povertà artistica del romanzo originale e lo rinnova con una serie di situazioni e battute molto simpatiche ed efficaci nel corso della prima mezz’ora. Da lì in poi, cioè dal momento in cui la timida Anastasia si fa sverginare dal misterioso Christian, tutto si trasforma in un gioco noioso e pesante. La trasgressione si limita ad un paio di frustate, mentre la storia si trascina senza picchi di interesse fino a un finale che vorrebbe essere “a sorpresa”, in vista dei prossimi capitoli della saga. Troppo poco, ma a ben pensarci anche no. Nel senso che “50 sfumature” è l’aspettato risultato di un altrettanto prevedibile prodotto hollywoodiano. Uno di quelli che puntano tutto sulla preparazione della scatola, lasciandoti poi l’amaro in bocca quando si tratta di aprire la sorpresa. Un’opera di forma e non di contenuto, un guilty pleasure per signore annoiate dalla loro routine sentimentale e nulla più. Eppure al Festival di Berlino, che in 65 anni di storia ha ospitato alcuni tra i nomi più importanti della storia del cinema contemporaneo, è stato il film più visto degli ultimi anni. A conferma del fatto che la cultura attrae e soddisfa solo fino a un certo punto. Quello che muove veramente il Mondo è la morbosa curiosità che si nasconde dentro ognuno di noi. E’ il piacere nell’assistere all’incarnazione dei sogni che amiamo ma non vogliamo confessare. E’ il retaggio di anni di malcelato perbenismo che si trasformano in una valanga di soldi destinati a finire nei box office di tutto il Mondo. Inutile aggiungere altro sull’argomento, il gusto del pubblico è ormai la sola cosa che conta in un’industria come il cinema e gli autori di “50 sfumature” hanno avuto la furbizia di capire fino in fondo il senso di questa affermazione. Non è affatto una cosa da poco.
Alvise Wollner
[immagini tratte da Google Immagini]

Alvise Wollner

cinefilo, cinofilo, fotosensibile

Classe 1991, anno della capra, vivo tra Treviso e Venezia. Dopo la maturità classica e le lauree in Lettere e Giornalismo a Padova e Verona, ho pensato che scrivere potesse aiutarmi a vivere. Giornalista pubblicista, collaboro dal 2013 con la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e sono redattore del quotidiano online TrevisoToday dal 2015. […]

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