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“Salty girls”

Immaginiamo un famoso fotografo che lavora ad un progetto intitolato “Just Breathe: Fibrosi Cistica” ed immaginiamo che per farlo abbia a disposizione le modelle con cui lavora abitualmente: senza alcuna imperfezione e con poca coscienza di cosa dovrebbero rappresentare.

E’ questa l’attualissima vicenda di Ian Pettigrew, che ha deciso di scostarsi dalla consueta perfetta perfezione per realizzare una serie di foto di donne affette da fibrosi cistica, una malattia ereditaria definibile come un’anomalia nella secrezione del cloro.

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“Salty Girls”, letteralmente “ragazze salate”, il nome di questa vetrina di coraggio, forza ed umanità. Hanno posato più di sessanta donne in bikini o con mise molto eccentriche per gridare al mondo di non sentirsi diverse dalle altre e di voler essere considerate come tali.
Belle, naturali, spontanee: queste parole attraversano la mia mente mentre guardo i vari scatti. Non noto a prima vista le innumerevoli cicatrici che deturpano il loro corpo; mi colpiscono i loro sorrisi, le loro fossette sul viso, la spontaneità dei loro movimenti.

Condannate ad una vita che le mette alla prova ogni giorno, perché dovrebbero vivere la sequenza dei loro anni diversamente dagli altri?

“L’idea che esistano dei corpi di cui vergognarsi è ancora molto reale e diffusa”, afferma Ian Pettigrew all’Huff Post Usa. Troppo spesso queste donne sono vittime di discriminazioni, troppo poche le persone che al giorno d’oggi vogliono riuscire a combatterle. Il concetto di bellezza va oltre un fattore puramente estetico, va oltre la cornice e si coglie direttamente dentro al quadro stesso. E’ un concetto che in queste donne è imperante, dilagante oserei dire. E’ un’idea che urlano con le loro espressioni. E’ un messaggio che si legge chiaramente in ognuno degli scatti realizzati.
Ad ognuna di loro la malattia potrebbe essere al tempo stesso il più grande limite di vita e la maggior imperfezione: nascondere ciò che vedono diverso dalle altre donne potrebbe sembrare la soluzione più idonea. Eppure, grazie ad un coraggio da invidiare, mostrano i loro punti di debolezza, proprio perché consapevoli che in realtà sono soltanto simbolo di una forza estrema. Vivere esattamente come gli altri, non diventando schiave di un mondo costruito sulle diversità.

Sono figlie, sono sorelle, sono amiche, sono mogli, sono fidanzate, sono donne in carriera: sono esattamente tutto quello che sono le altre persone. No, anzi. Non soltanto. Sono assolutamente di più. Sono capaci di essere rappresentanti delle cicatrici che segnano i loro corpi, sono talmente determinate da sfidare una malattia di cui attualmente non esiste una via di guarigione definita. Combattono per ottenere una sperimentazione più avanzata, per loro stesse e per le altre donne. Combattono come tutte noi nei nostri ambiti e nelle sfide che ci poniamo.

Scatti che le raccontano, tuttavia non abbastanza: sono infatti destinati a diventare vere e proprie storie di vita raccontate in un libro. Non credo di poter comprendere fino in fondo quanto carattere ci voglia per affrontare ogni giorno, ogni momento, ogni secondo della loro quotidianità. So però per certo che non l’hanno privata di un altro genere di sale: quello della vita, quello del coraggio. Entusiasmante dev’essere prendere spunto da vite così, ammirarle fino a sostenerle. Imitare per quanto possibile la loro tenacia. Cogliere quella superiorità e quell’esperienza di vita che hanno, delineata in qualsiasi forma.

Non esistono difficoltà talmente grandi da non poter essere abbattute; ecco il concetto che rappresentano.

Volti ignoti che diventano noti anche al mondo che ignora una certa realtà.

Volti puliti che rendono un po’ meno forti le discriminazioni e un po’ meno sporca la spazzatura della rassegnazione. Volti di chi crede – ancora – in una prospettiva migliore.

Volti di reale bellezza. Volti di autentico coraggio.

Cecilia Coletta

[Immagini tratte da google immagini]

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