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La crisi è cura della complessità

Le crisi servono a qualcosa? Ci sovvengono subito sensazioni negative al suono di questa parola, un suono che evoca qualcosa di simile a una rottura, una scissione. Non per nulla, dato il suo significato etimologico derivante dall’ambito agricolo; infatti, questa parola nasce nella lingua greca per indicare la separazione delle parti del chicco di grano in vista della raffinatura. Un senso nient’affatto negativo, ma l’utilizzo del termine per indicare una selezione l’ha portato a percorrere una strada linguistica che ne ha plasmato il significato fino a renderlo indicativo di un momento di rottura. Allo stesso modo, in medicina è ritenuto “critico” quanto si discosta dalla normale funzionalità, avvicinandosi, piuttosto, alla malattia. Eppure le crisi ci invitano pur sempre a operare quell’antica operazione di discernimento, di valutazione, selezione delle possibilità, affinché non si arrivi veramente alla catastrofe. Se pensiamo alla lavorazione del grano, quello che ci sovviene è un’immagine di cura di qualcosa di prezioso per la vita ed essenziale a nutrirla.

L’attuale crisi legata alla pandemia non ci lascia spazio per fare molte cose e a molti sembra di non poter scegliere liberamente come proseguire le proprie vite, intenti come siamo a tentare di capire la corsa del virus, arginare i suoi effetti nefasti sui più deboli e vedere la fine di questa drammatica vicenda. Cosicché in molti ci sentiamo smarriti tra l’incertezza rischiosa del presente e la totale incognita del futuro, offuscati dal pessimismo, dalle difficoltà materiali, dalla noia o dall’insofferenza. Con questi sentimenti addosso cosa possiamo fare per non perdere l’occasione che, seppur con dolorose complicazioni, ogni crisi ci offre? Il tempo che non possiamo più dedicare alla convivialità, allo shopping, al cinema, alle gite, possiamo “riciclarlo” virtuosamente?

Credo che l’investimento del tempo in senso virtuoso possa essere un primo buon proposito per provare a convertire un’apparente stasi in un percorso pro-attivo. Dobbiamo programmare la nostra ripartenza per quando la pandemia sarà finita e c’è molto da mettere in discussione, sia come individui che come specie dalla spiccata tendenza alla vita sociale. La presa del virus prima o poi si attenuerà, è scritto nei precedenti dell’evoluzione, anzi, della co-evoluzione tra organismi e ambiente, come ben narra David Quammen in Spillover. Dovremmo ripensare come uscirne più consapevoli e meno colpevoli, se siamo disposti a riconoscere delle colpe in noi. Da dove partire? Forse proprio l’idea di separazione, raffinazione o discernimento può esserci nuovamente di ispirazione.

È possibile che a fronte di una realtà sempre più complessa, sia dal punto di vista ambientale che sociale, abbiamo trascurato di dedicarci a costruire, personalmente e collettivamente, una conoscenza capace di prendere in cura la complessità nelle sue svariate manifestazioni? Abbiamo raffinato un po’ troppo le nostre visioni del mondo attraverso processi di frammentazione e separazione dalla globalità, non vediamo più come tutto sia connesso e come le interazioni delle parti siano piene di conseguenze sul sistema complesso. E per questo, scendendo più in concreto, forse non ci siamo resi ben conto che l’umanità è numericamente cresciuta in modo abnorme, creando un pericoloso impatto sul pianeta, in cui ciascuno di noi è armato di un potere d’azione molto destabilizzante per l’ecosistema, come ci spiegano importanti scienziati intenti ad analizzare il nostro impatto sulla Terra. Il successo dei virus a nostro discapito non è affatto slegato dai nostri comportamenti di destabilizzazione ambientale. La deforestazione e la conseguente riduzione di nicchie ecologiche protette da contesti di sfruttamento umano facilita il salto sulla nostra specie da parte dei virus provenienti dal mondo animale (le cosiddette zoonosi). Siamo in grado di prendere atto che abbiamo ormai troppi feedback dell’insostenibilità della nostra presenza sulla Terra alle nostre capricciose condizioni? Basti solo il citare questioni come inquinamento, rifiuti, spreco di risorse preziose, surriscaldamento globale, impoverimento della biodiversità, senza voler poi scendere nei dettagli di queste o altre gravose questioni. I nostri comportamenti individuali sono, soprattutto dal punto di vista consumistico, dei comportamenti collettivi.

 

Pamela Boldrin

 

Il presente testo è un estratto del contributo della nostra autrice Pamela Boldrin per la rivista Duemilaventuno. Fuga dalla pandemia curata dagli amici de L’eco del nulla. Potete scoprirla e acquistarla qui: sostenete la cultura e una riflessione attenta sul mondo!

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Pamela Boldrin

Curiosa, ecologista, accanita lettrice

Vivo a Noventa Padovana con mio marito, mio figlio e mia figlia dal 2012, ma sono nata e cresciuta in provincia di Treviso. Mi sono laureata a Padova in qualità di tecnica di neurofisiopatologia, lavoro che faccio tuttora come libera professionista (dopo anni da dipendente ospedaliera prima al Ca’ Foncello di Treviso e poi nell’ULSS […]

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