Home » Rivista digitale » Filosofia pratica » Attualità » Lettera a mia figlia

Lettera a mia figlia

Anche l’uomo più sano e più sereno può risolversi per il suicidio, quando l’enormità dei dolori e della sventura che si avanza inevitabile sopraffà il terrore della morte Arthur Schopenhauer

“Cara Sofia,

questa volta il tuo papà forse ti deluderà, questa volta il tuo papà ti farà soffrire come non avrebbe mai voluto fare. Spero solo che, una volta lette queste poche righe, la delusione e la sofferenza lasceranno spazio a un po’ di comprensione.

Scusami bambina mia (perché per me, lo sai, sarai sempre la mia bambina), questa volta non ce l’ho più fatta a combattere, questa volta il male di vivere ha preso il sopravvento.

Negli ultimi dieci anni non sono stato più un uomo, negli ultimi dieci anni intorno a me era tutto buio. Sono precipitato in una prigione di tenebre da cui non sono più riuscito a fare ritorno.

Negli ultimi anni, poi, intorno a me eri rimasta ormai solo tu. Troppo peso per una creatura così libera quale sei, non potevo più permetterlo.

Non pretendo che tu capisca il mio gesto, lascia però che ti spieghi a cosa ormai si era ridotta la mia vita.

Ti auguro di non scoprire mai, bambina mia, cosa significhi voler morire e quanto sorridere possa far male. Ti auguro di non scoprire mai quanto può essere dura certi giorni riuscire ad alzarsi dal letto, riuscire a lavarsi, riuscire ad aprire le finestre e lasciare che la luce inondi la stanza. Ti auguro di non scoprire mai il desiderio di fare del male al tuo corpo per cercare di far uscire la bestia che hai dentro e che lentamente ti sta portando a non essere più te stesso.

Alcuni giorni, quando la bestia, che il dottore chiama Depressione, mi permette di alzarmi dal letto, mi capita di vedermi riflesso in qualche specchio, in qualche vetro. Fatico a riconoscermi. I miei occhi, quegli occhi di cui tua madre si era innamorata, sono spenti, sono vuoti, sono invasi di lei, la Depressione. Dovrei accontentarmi di tutto quello che ho avuto dalla vita, questo mi sento dire. Come se non lo sapessi, come se non lo volessi. Io non lo so perché, non lo so proprio perché mi sia ritrovato in questo stato. Ricordo che all’inizio ho provato un forte senso di apatia, ero sempre stanco. Era una stanchezza strana, una stanchezza che mi prendeva il cervello, e più mi riposavo più ero stanco. Ricordo che tu mi mandasti dal medico, preoccupata. Credo che tu avessi in mente tutt’altro genere di malattia, un cancro forse, non certo che tuo padre fosse diventato pazzo. Il senso di vergogna, già latente prima, a quel punto mi invase. Divenni incapace di vivere la presenza di altre persone, a volte anche la tua. Ho iniziato a non vedere più gli amici, a non uscire più di casa, a non andare neanche più al cimitero a trovare tua madre. Non sono più riuscito a leggere dei libri, la Depressione si è portata via anche la mia passione più grande. Ho dimenticato tutto di me stesso, non è rimasto più niente. Il tempo passa velocemente, non avrei mai creduto di resistere dieci anni in questa situazione. È come se il mio orologio fosse fermo. La giornata scorre senza che neanche me ne renda conto, vivo senza vivere. Quando arriva sera l’unico pensiero è quello di addormentarmi e non svegliarmi più, ma poi arriva l’alba, inesorabile, e mi trovo costretto a sopportare di vivere, se ancora di vita si può parlare, un’altra giornata. Apro gli occhi e con rassegnata disperazione costato di non essere morto. Non è vita questa, angelo mio. Avrei voglia di urlare al mondo il mio dolore ma sono troppo spaventato da quello che ho dentro.

È per questo che ho deciso che domattina non mi sveglierò più.

Perdonami se puoi amore mio.

Ti voglio bene,

il tuo papà”

Sofia ripiega la lettera e la rimette nella busta insieme a un sollievo di lacrime che cadono dagli occhi.

 La depressione è uno dei disturbi psichiatrici più comuni, tanto da essere soprannominata “il raffreddore della malattia mentale”. Tutti abbiamo l’esperienza di una giornata in cui ci definiamo “un po’ depressi”, ma solitamente è un calo di umore passeggero. La depressione clinica invece presenta una serie di sintomi che si prolungano nel tempo. Chi ne soffre esperisce un umore depresso per tutto il giorno per più giorni consecutivi e non riesce più a provare piacere nelle attività prima piacevoli. L’episodio depressivo è una delle esperienze peggiori che si possono avere nella vita perché ci si trova ad essere senza speranza e senza risorse, completamente impotenti nei confronti di ciò che ci circonda. Ci si trova prigionieri di una tristezza così debilitante da fermare la vita nel suo corso. Non c’è nulla nella vita di un depresso che ne possa sollecitare il suo interesse, ne distrugge le passioni fino a creare il vuoto. Non c’è spazio per forza d’animo e motivazione. La depressione risucchia la vita di chi la incontra. L’isolamento che si crea attorno alla persona appare inevitabile. La persona depressa si arrende al vuoto della sua vita. In questa gabbia di disperazione l’unico desiderio che il prigioniero riesce a sentire è che l’incubo in cui si trova finisca il prima possibile. Circa il 15 % di coloro che soffrono di depressione muore per suicidio. Nessun altro tipo di morte lascia in amici e familiari sentimenti così duraturi di dolore, colpa, vergogna, confusione e turbamento. Il suicidio è un atto di tale complessità che nessuna singola teoria riesce a darne una spiegazione completa ed esaustiva. Lo studio del suicidio comporta una grande varietà di questioni etiche e costringe ad analizzare la propria visione della vita e della morte. Il suicidio però in questi casi appare l’unica soluzione per poter essere liberi dalla prigione di tenebre in cui ci si trova rinchiusi.

Giordana De Anna

Follow @GGiordana [immagini tratte da Google Immagini]

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!