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La società del patriarcato in “C’è ancora domani”

Scene in bianco e nero di violenza fisica e psicologica, domestica e non, e la rappresentazione audace, chiara e impattante della società del patriarcato della città di Roma nel 1946, anno appena seguente la fine della Seconda guerra mondiale: questo è ciò che Paola Cortellesi rappresenta nel suo esordio da regista uscito da poco nelle sale, il film C’è ancora domani. Guardiamo il film e potremmo pensare che le vicende della protagonista Delia siano relegate a un passato che non c’è più ma così non è: il film parla anche – e forse soprattutto – della nostra contemporaneità e alla nostra contemporaneità.

Delia, madre di famiglia, si dedica a ciò che, secondo la società in cui vive, spetta alla donna: fare le pulizie, preparare i pasti, accudire il suocero e intanto occuparsi di qualche lavoretto per portare a casa del denaro. C’è solo una cosa che lei non fa ma che la società le richiederebbe in quanto donna: a detta del suo suocero Delia “ha il difetto che risponde”. E questo, sia secondo il suocero che secondo il marito Ivano, comporta che Ivano debba rimproverarla ed educarla ogni volta che lei osa dire qualcosa di “sbagliato” oppure fa qualcosa che a loro non piace, e il modo per farlo è umiliarla e picchiarla. È così che scene di violenza diventano delle danze macabre e allo stesso tempo ironiche e divertenti, con sottofondi musicali che aggiungono un tono leggero e contemporaneamente evidenziano la pesantezza di ogni gesto di Ivano; come fanno sia ridere lo spettatore che rabbrividire i dialoghi efficaci e che fanno capire la poca, o forse inesistente, considerazione della figura femminile.

Delia e le altre donne che vivono nel suo palazzo o nella città si rendono conto, però, di valere più di quanto gli uomini vogliono far loro credere e soprattutto chiedono a noi spettatori di interrogare la società di oggi a proposito del suo retaggio culturale. Purtroppo, esso permane e sopravvive in alcune famiglie, in alcune relazioni e in alcune realtà, come i dati sulla violenza contro le donne e sui femminicidi dimostrano. Il patriarcato spesso regola il nostro agire e/o il nostro subire e di sicuro questo film ha la sensibilità adatta per parlare a tutti e presentare la condizione di inferiorità che noi donne, chi più chi meno, soffriamo e subiamo. Il film in bianco e nero e l’ambientazione del film non devono ingannarci: i femminicidi, la violenza fisica, la cultura dello stupro continuano a essere all’ordine del giorno e qualcosa di cui parliamo indignandoci; ma stiamo agendo abbastanza?

I dati, infatti, sono preoccupanti e dimostrano che, in realtà, stiamo facendo troppo poco. È preoccupante che non si parli abbastanza dei dati e che non ci siano azioni concrete sia da parte di molti noi cittadini che da parte del governo. Il 26% dei giovani tra i 14 e i 19 anni – secondo il sondaggio “Teen Community” condotto dalla Fondazione LIbellula – ritiene che dire al/la proprio/a partner quali vestiti indossare non sia un forma di violenza; il 48% dei giovani tra i 14 e 19 anni ha subito del contatto fisico indesiderato; inoltre, sentiamo ogni giorno di ragazzi che non lasciano uscire liberamente il/la partner la sera perché non si fidano. Tutto questo, e altro ancora, è ciò che rimane e sopravvive della società patriarcale e rispetto al quale non abbiamo fatto abbastanza: che sia scolastica o familiare o della società, manca un’educazione al rispetto per l’altro o per l’altra, alla capacità di vivere in una relazione senza limitare l’altro e la sua libertà.

Dobbiamo chiederci: cosa abbiamo fatto per ogni ragazza o donna di cui abbiamo scoperto la morte per mano del fidanzato o del marito? Cosa stiamo facendo noi come società? Cosa insegniamo agli uomini? Insegniamo il rispetto delle decisioni altrui, del corpo, della mente e delle emozioni degli altri? Quando a un uomo si insegna che il suo volere è più importante di quello di una donna e che quindi se lei rifiuta la relazione con lui ha il diritto di decidere del suo corpo, della sua vita e della sua morte? Perché i ragazzi imparano questo e nessuno interviene? Perché c’è ancora chi si chiede cosa avrebbe potuto e/o dovuto fare Delia al posto di chiedersi cosa avrebbe dovuto fare Ivano? Perché ci indigniamo e chiamiamo mostro Ivano ma non ci chiediamo com’è possibile che siano uomini coloro che decidono di uccidere le donne e lo Stato non agisce in alcun modo? Perché non indaghiamo sull’educazione di Ivano oppure di un ragazzo che maltratta oggi la sua ragazza? Perché non ci chiediamo i suoi modelli, i libri, i film, i discorsi che riempiono la sua quotidianità? Perché lo Stato non esercita il suo potere per modificare questa situazione? Perché nessuno corre in aiuto di Delia nonostante tutti sentano le sue urla quando Ivano la picchia? Perché il sistema patriarcale non viene fatto crollare?

Dobbiamo iniziare ponendoci queste domande perché, come dice Delia nel film, c’è ancora domani e dobbiamo sin da subito muoverci per contrastare la società patriarcale e tutto ciò che essa comporta. Dobbiamo noi in prima persona non farci portavoce delle massime del patriarcato e, anzi, agire contro queste ultime non accettando mai violenze di alcun tipo, siano esse esplicite o no, fisiche o psicologiche. C’è ancora domani ma è oggi il giorno in cui dobbiamo iniziare ad agire. Oggi la donna è ancora Le Deuxième Sexe, per citare Simone de Beauvoir, e già da oggi noi dobbiamo impegnarci perché così non sia: vedere il film di Paola Cortellesi e riflettere sul suo messaggio sono solo due primi piccoli passi per cambiare questa situazione.

 

 

NOTE: [Photocredit: fotogramma tratto dal film]

Andreea Elena Gabara

in continua ricerca, sensibile, dinamica

La mia vita è caratterizzata da due ricerche, una artistica e corporea e una filosofica e mentale: sono, infatti, una danzatrice contemporanea, diplomata al Teatro Carcano, e studio Filosofia all’Università degli Studi di Milano. I temi su cui queste due ricerche si concentrano sono l’Altro e le relazioni interpersonali, l’esistenza e la sua insostenibile leggerezza […]

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