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Dragon Ball e la filosofia come esercizio verso la morte

La notizia della scomparsa del maestro Akira Toriyama, creatore di mondi e di storie indimenticabili come Dragon Ball e Dr. Slump, ha lasciato un grande vuoto nel panorama della cultura di massa. Sui social circolano commoventi vignette che rappresentano Toriyama nell’intento di avventurarsi proprio in quei bizzarri spazi dell’Al di là da lui stesso creati e che hanno fatto sognare tanti fan.

Questa triste e sconvolgente notizia però credo che possa essere l’occasione per riflettere finalmente in modo più serio sul tema della morte in un’opera come Dragon Ball. Tale tema in questa opera a torto lo si considera banale e frivolo, si pensi per esempio ai meme sulla puntuale morte di Crilin e sulla sua ennesima resurrezione mediante il potere delle sfere.

Esiste tuttavia una dimensione più profonda di questa tematica tanto che non sarebbe tanto azzardato definire Dragon Ballcome il manga della morte. Ma di cosa si sta parlando? L’idea di morte che ho qui in mente in effetti è da intendersi più un come sinonimo di trasformazione e ha poco a che fare invece con la fine di qualcosa. Si ricordi per esempio la definizione di filosofia come esercizio verso la morte del Fedone di Platone: un continuo allenamento e miglioramento di sé che conduce a un cambiamento radicale della prospettiva sul mondo. L’accettazione della morte come via di accesso all’intelligibile e come scoperta della verità, verità terribilmente diversa e di tutt’altra natura rispetto a quella comunemente affermata nel mondo sensibile delle opinioni1.

Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk nel suo saggio Devi cambiare la tua vita, a tal proposito, offre qualche elemento in più per comprendere tale paradigma ascetico proprio della filosofia scrivendo che «chi sfida la morte per inglobarla nel dominio del saper-fare, in caso di successo, avrà fornito la dimostrazione che nello spettro dell’umanamente possibile troviamo anche il superamento dell’insuperabile ovvero la capacità di accordarsi con ciò che è spaventoso» (P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, Raffaello Cortina Editore, p. 246).
Ognuno di noi, in quanto atleta del sapere, è chiamato ad allenarsi al fine di migliorarsi e cambiare la sua vita traducendo tale imperativo in un consapevole saper-fare. Ma inglobare la morte nel dominio del saper-fare implica concepirla come momento proficuo dell’allenamento, consacrare la ripetizione dell’esercizio al servizio dell’irripetibile, superare l’insuperabile e, riprendendo Sloterdijk, accordarsi con ciò che è spaventoso. Qui risiede il senso della morte come trasformazione di sé.

Dragon Ball è il manga della morte. Con questa opera, il maestro Toriyama non poteva lasciarci testimonianza più profonda e vitale. In Dragon Ball tale trapasso del dovere (“devi cambiare la tua vita”) nel saper-fare è espresso continuamente nelle avventure di Goku e dei suoi amici, nel segno della morte. È questa idea di morte infatti che muove i famosi allenamenti e gli scontri ripetitivi che portano alle continue trasformazioni dei personaggi. La morte, solo per fare un esempio, è la tematica che pervade l’intera saga di Al-Satan, il primo temibile e potente nemico, spietato a tal punto da eliminare anche il Drago Shenron. Contro di lui si sacrifica il Genio delle Tartarughe nel tentativo di imprigionare il demone mediante l’Onda Sigillante, una tecnica talmente potente che la sua attuazione può costare la vita. E lo stesso Goku, per dirla con Sloterdijk, dovrà inglobare la morte nel saper-fare per sconfiggere il nemico. Il nostro protagonista dovrà infatti essere pronto a morire bevendo l’Acqua miracolosa, una sostanza velenosa che però, se assunta, sarà in grado di risvegliare i poteri sopiti. Ancora una volta, solo chi fa propria la sfida della morte può trasformarsi superando sé stesso.

Solo questi brevissimi esempi in questa sede sono sufficienti per comprendere l’importanza del tema della morte come idea positiva in questa opera che ha implicazioni anche nella quotidianità. Dragon Ball ci invita a trasformare il dovere nel saper-fare. È un’opera performativa poiché non è un mero racconto, ma un invito a trasformare radicalmente la nostra vita suggerendoci di trovare uno spazio in cui esercitarsi, migliorarsi e scoprirsi, sia esso un’attività sportiva o una qualsiasi disciplina che ci appassiona. In questo senso il lascito del maestro Toriyama a molte generazioni cresciute con Dragon Ball è una protesta contro la mediocrità e una esortazione alla trasformazione.

 

NOTE
1. Cfr. Platone, Fedone, Bompiani, 2017, pp. 107-109.
[Photo credit Jeet Dhanoa via Unsplash]

 

Giovanni Citrigno
Laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università della Calabria, attualmente è Assegnista di ricerca nell’ambito della Storia della Filosofia Medievale. I suoi interessi spaziano dalla storia della cultura filosofica alla storia del pensiero scientifico, fino alle intersezioni tra la filosofia e i fenomeni della cultura di massa.

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