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Uguaglianza nella diversità: donne che lottano per essere donne

Sin dai primissimi albori della società umana, ogni donna si è trovata in balìa di qualche uomo. Le leggi e i sistemi politico-sociali nascono sempre dal riconoscimento dei rapporti fra gli individui così come li trovano già in essere. Quel che era un mero fatto fisico, lo convertono in un diritto legale […]. Così, chi doveva già obbedire per forza, deve poi obbedire per legge.

Sono queste le parole utilizzate dal filosofo John Stuart Mill, nella sua opera del 1864 L’asservimento delle donne, per spiegare la ragione di fondo per la quale le donne, nel corso della storia, siano state costantemente penalizzate e poste in un gradino inferiore rispetto all’uomo. Ab origine, sostiene il filosofo, l’ordinamento legislativo di una data società non era altro che il riflesso delle relazioni esistenti tra gli individui, riconfermando quell’ordine sociale che ha attraversato la storia, basato sul dominio del forte rispetto al debole. Esistono dunque due nature: una schiava ed una libera. Alla prima viene associata l’immagine femminile, passiva, fragile e sottomessa alla volontà del suo padrone-uomo-marito; la natura libera, invece, viene affiancata dalla figura maschile, caratterizzata da forte autonomia e controllo.

Si è consolidata pertanto la pretesa di attribuire alle donne il ruolo di dedicarsi completamente al focolaio e alla procreazione dei figli, distinte dal marito per la loro incapacità di autonomia e per il loro senso di obbedienza, precludendosi ogni genere di relazione con l’esterno; mentre l’uomo, considerato essenzialmente il bread winner, è il solo ad avere la possibilità di occuparsi della vita pubblica.

Come ridimensionare quest’ordine sociale che, malgrado le recenti conquiste, a partire dal movimento femminista, continua incessabilmente a riaffermarsi e a mantenersi come un dato naturale e scontato?Perché la differenza continua ad essere motivo di svalutazione e subordinazione della donna piuttosto che di uguaglianza e parità di diritti?

La risposta la si può ritrovare nella différance stessa, come sostiene anche Jacques Derrida. I due generi, considerati non opposti ma distinti,dovrebbero permettere ad ogni individuo di svilupparsi nella propria autonomia, nella propria diversità rispetto all’altro. In questo modo, si impedisce ogni tipo di annullamento e di alienazione personale: soltanto vivendo in una società dove ciascuno ha il diritto di diventare ciò che è, è possibile realizzare una vita pacifica e armoniosa, dove la dignità di ognuno, nella distinzione e nella parità, viene rispettata. Si impara così a vivere con l’altro e dell’altro.

Perciò, ogni tentativo di uguaglianza con gli uomini può diventare la causa della neutralizzazione dell’identità femminile, l’assorbimento del genere femminile nel maschile e il definitivo dominio dell’uomo. La via d’uscita da questa logica di subordinazione è fondare un’etica del riconoscimento, dove ciascuna donna, come anche ciascun uomo, viene valorizzato nella propria unicità rispetto all’alterità.

Anche nella relazione d’amore non esiste prevaricazione, la violenza non appartiene a questo campo di dominio: si ama con l’altro, lo si rispetta, nella sua diversità.

Ciò di cui anche oggi avremmo bisogno è valorizzare, tramite il reciproco riconoscimento dell’altro, la specificità di ognuno e solamente nel momento in cui ogni donna riuscirà a farsi rispettare grazie alla sua differenza rispetto all’uomo, allora si avrà vinto la lotta per la vera uguaglianza. Fino a quel momento, come sostiene la filosofa Michela Marzano in Sii bella e stai zitta, ci sarà sempre qualcuno che rifiuterà valore e dignità a chi non è “perfettamente identico”.

Sara Roggi

[Immagini tratte da Google immagini]

 

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