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“Ma tu sei arrivato con il barcone?”

Nessuno avrebbe il fegato per porla; nessuno avrebbe la faccia tosta per pronunciare davvero quelle parole. Eppure, ad un certo punto, quella domanda squarcia (sì, squarcia, letteralmente) l’aria. “Ma tu sei arrivato con il barcone?”. E dopo un breve, addirittura troppo breve, momento di silenzio (perché in fin dei conti non richiede mica pause di riflessione una domanda del genere: o è si o è no) segue la risposta di Malick… affermativa.

A pronunciare la fatidica ma pur sempre legittima domanda, un bambino. Già, perché un bambino non si chiede, e in effetti non si deve chiedere se una domanda sia lecita o meno; non si chiede se una parola di troppo può essere inopportuna. Un bambino chiede e basta, come è giusto che sia. La sua curiosità è del tutto naturale, spontanea, innocente e per tale motivo esige di essere soddisfatta.

I bambini lo vedono alla tivù che alcuni uomini color cioccolato attraversano il mare e, qualche volta, arrivano in Italia con un barcone o con dei gommoni di fortuna. Lo vedono sul maxischermo rettangolare del salotto di casa, per loro è qualcosa di oggettivo, sanno che succede; ma sebbene siano molto più svegli di quanto molti adulti possano pensare, forse non riescono a percepire la portata del fenomeno. Alcuni di loro, senza dubbio, si porranno qualche domanda da grande: “Sarà brutto, sarà bello, sarà buono quel viaggio per mare?”. Ma ciò che conta per loro, alla fine, è la praticità dei fatti: tu quel barcone l’hai preso o no? E che c’è di male nel chiederlo?

Un modo di pensare e agire opposto a quello di noi adulti, che probabilmente riflettiamo di più e cerchiamo di ponderare al meglio le nostre parole, ma che di conseguenza abbiamo finito per accantonare quella spontaneità tipica dell’infanzia, rischiando di cristallizzare lo specchio delle nostre emozioni. Nascosti dietro ai sospetti, alle preoccupazioni e alle incertezze, mettiamo in gabbia la nostra capacità di provare ogni giorno quelle sensazioni che ci farebbero vivere più serenamente, e più vicini gli uni agli altri.

Perché quella domanda avremmo voluto farla anche noi, perché anche noi vogliamo conoscere e capire; ma per fortuna c’era Leonardo, nove anni, che la mano l’ha alzata subito, e senza nessun timore.

Avremmo voluto sapere la risposta a quella domanda per cercare di conoscere un po’ di più la persona che avevamo di fronte, per intuire dal suo modo di rispondere qualcosa di più del suo vissuto. Così come vorremo delle risposte a molti altri interrogativi che la nostra mente formula, ma che la nostra voce non sempre riesce ad esternare. Eppure domandare è così facile: non prende molto tempo e non costa fatica. Il difficile viene poi, ed è l’ascoltare; il mettersi a disposizione dell’altro e il lasciarsi andare alle sue parole. Il lasciarsi andare che è lasciarsi influenzare. Perché ascoltare equivale talvolta a prendere in considerazione un nuovo e diverso punto di vista. E questo difficilmente noi lo vogliamo fare.

 

Federica Bonisiol

 

[Immagine di Adolfo Felix da Unsplash]

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