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Il rumore delle cose: intervista a Evita Greco

Per una bambina di sei anni, accorgersi di avere difficoltà nella scrittura e nella lettura, non riuscire a soddisfare le aspettative degli adulti, scoprirsi diversa dai compagni di classe, non è per nulla semplice. Non lo era negli anni novanta, quando i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) erano quasi sconosciuti e poco compresi. A sette anni, quando la parola dislessia entra per la prima volta nel suo mondo, Evita ha già le idee chiare: avrebbe letto tantissimi libri e ne avrebbe scritto almeno uno.
Evita Greco copertina - La chiave di SophiaProprio grazie alla caparbietà di quella bambina, oggi siamo qui a parlare con una giovane e promettente autrice italiana, Evita Greco. Il suo romanzo d’esordio, Il rumore delle cose che iniziano (Rizzoli, 2016), qualche settimana fa si è aggiudicato come Opera Prima, il Premio Rapallo Carige, considerato tra i più rilevanti riconoscimenti letterari nazionali. Una storia dolce e poetica, narrata in modo intimo, diretto, delicato. La storia di Ada, cresciuta da una nonna che sta per dirle addio e intrappolata in un amore che prende forma solo tra le pareti di un loft ancora spoglio, è un inno alle piccole cose, un mosaico ben riuscito di dettagli effimeri, particolari teneri, minuzie enormi.
 

Quando hai compreso che il tuo sogno di bambina stava divenendo realtà?

Dopo aver frequentato la scuola Palomar di scrittura, e dopo aver finito –con ritardo rispetto ai tempi previsti- il romanzo, sono passati lunghi mesi in cui non è successo nulla. Poi un martedì pomeriggio ho ricevuto la chiamata dell’agente Vicki Satlow e lì ho capito che forse stava succedendo qualcosa.

Nel tuo libro i rumori assumono un ruolo importante, diventano un campanello che ci permette di scandire i momenti della vita, donandogli valore. Quale rumori associ all’inizio della tua carriera di scrittrice?

Più che un rumore, forse, a caratterizzare questo mio inizio è stato una particolare qualità di silenzio: quello della biblioteca pubblica della mia città. È lì che ho scritto la maggior parte del romanzo. Di tanto in tanto la porta della sala studio si apriva. Faceva un rumore tutto suo, in effetti.

Nel tuo romanzo è possibile scorgere una filosofia delle piccole cose, dove sono i dettagli, i particolari, le cose più semplici, ad assumere rilievo e importanza. E’ una linea di pensiero che applichi anche nella vita quotidiana?

Decisamente. In realtà io non le vedo davvero come piccole cose. Per me sono cose e basta.

Per Ada il momento in cui si diventa grandi è «quello in cui non c’è più nessuno pronto ad afferrarti quando rischi di cadere». Per Evita cosa significa crescere?

Forse ancora non lo so. A lungo ho pensato che “crescere” significasse farsi una vita propria, trovare qualcuno con cui condividerla, scegliersi una casa, creare una famiglia. Ora che tutte queste cose le ho fatta, ci sono ancora dei momenti in cui mi sento “bambina” e capisco che forse non sono ancora davvero cresciuta. Forse non è vero che si cresce in modo definitivo una volta per tutte. Una parte di noi resta sempre “piccola”, un’altra cresce.

La protagonista del tuo libro, con quella disarmante aria da bambina, ricorda un’Amelie Poulain malinconica e sognatrice. Ti somiglia, la tua Ada?

Scrivendo pensavo di no. O almeno, non così tanto. Poi rileggendo ho capito che qualcosa di mio effettivamente lo ha. Il guaio è che io non la vedo così sognatrice. Il che rende più grave il mio grado di “strampalatezza”, forse. Scherzi a parte: ha molto della mia insicurezza. Ma ognuno dei personaggi ha qualcosa di me: Giulia – l’infermiera che si prende cura di nonna Teresa che diventa amica di Ada- rappresenta molto di quello che vorrei diventare come donna: forte, elegante, pratica senza essere invadente. Persino Matteo mi somiglia. L’ho sempre immaginato una via di mezzo tra l’insicurezza di Ada e la forza di Giulia.

Nonna Teresa insegna alla piccola Ada la magia dei rumori, che serve a superare le paure degli inizi. Sei da poco diventata madre, c’è qualcosa che, più di altro, vorresti insegnare alla tua bambina?

Tutta la seconda parte del libro è stata scritta dopo la sua nascita, e non c’è una sola riga che – in un certo senso – non parli di lei o a lei. Anche la lettera che la nonna lascia ad Ada è “per lei”. Vorrei insegnarle a riconoscere la sua vera natura e a prendersene cura. E l’importanza di guardare l’essenza delle cose.

In una realtà come quella italiana, in cui il numero dei lettori non è un dato incoraggiante, qual è il compito della letteratura?

Aiutarci a restare umani, credo. E aiutarci a capire le cose “umane” senza semplificarle. Ma anche senza complicarle.

Da lettrice, cosa cerchi nelle storie che leggi? E cosa pensi che i lettori troveranno nel tuo libro?

Cerco quello che spero trovino i miei lettori nel mio libro. Un momento di silenzio dopo aver finito di leggere. Un momento dopo il quale ci si sente cambiati, anche solo di pochissimo. Con uno sguardo nuovo – e possibilmente più attento- nei confronti del mondo. E soprattutto nei confronti delle “piccole” cose.

Scrivere significa riversare su carta un mondo intero. Pensi che i romanzi debbano racchiudere mondi reali o mondi ideali?

Penso dipenda molto dall’indole dell’autore. E anche da quella del lettore che fa “l’altra metà dell’opera”. Io personalmente sono più interessata ai mondi reali. Ma ho moltissima stima per chi invece sa scrivere di quelli ideali, dicendoci però molto a proposito di quelli reali.

Per concludere, una domanda che ci piace porre a tutti i nostri ospiti: che valore attribuisci alla filosofia?

La filosofia, in un certo senso, è entrata nella mia vita prima di sapere cosa fosse davvero. Io e mia sorella avevamo l’abitudine di chiacchierare prima di addormentarci, nel buio della nostra stanza. Una sera, io ero alle medie e lei al liceo, ho iniziato a dirle che “se non esistesse la notte, allora non potrebbe esistere il giorno” o una cosa del genere. Lei allora mi disse che stava studiando un filosofo che diceva più o meno la stessa cosa, molto meglio di me, ovviamente. Parlava di Eraclito. Da allora sono stata sempre attratta dal mondo dei filosofi. Credo che la filosofia sia ovunque. C’è sempre, ed è una fortuna saperla vedere.
Ringraziamo Evita Greco per il tempo che ci ha dedicato.
Non vi resta che leggere il suo romanzo per scoprire se voltata l’ultima pagina troverete il “momento di silenzio” di cui Evita ci ha parlato. Questa interpretazione della letteratura piace molto anche a noi, le storie come veicolo di cambiamento, come strumento di crescita e scoperta personale, come mezzo per acquisire una nuova sensibilità e un nuovo sguardo sul mondo. Perché  a volte i libri riescono a donarci occhi inediti, e lo fanno in un silenzio carico di significato.
A questo esordio, che invece ha fatto un rumore bellissimo, auguriamo di essere la nota iniziale di una lunga melodia.

Stefania Mangiardi

[Immagini tratte da Google Immagini]

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