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Meaning seeking come dimensione della motivazione

Montale diceva che il solo vivere non basta. Ancora prima, per Platone l’umano è come un otre forato: la biologia non basta. Le pulsioni e le funzioni biologiche non sono abbastanza: ognuno di noi è un progetto incompiuto con la vocazione a realizzarsi. Essa passa attraverso la ricerca di un significato, di un senso, che è ciò che si vive e si sente. Noi siamo esseri alla ricerca di un significato, viviamo secondo il principio dello scopo. Il nostro essere desideranti passa attraverso lo scopo.

Ciò che gli anglofoni chiamano meaning seeking è una dimensione fondamentale della motivazione ed è ciò che permette la realizzazione delle possibilità. Possibilità che spesso richiedono una profonda trasformazione dell’Io per essere portate a compimento. La motivazione è ciò che contagia sia l’Io sia gli altri permettendo la realizzazione di progetti di senso. Ognuno di noi necessita di un significato per affrontare l’esistenza. La sofferenza e la tensione monopolizzano la coscienza, che si libera dalle catene solo con il vento della motivazione e del valore.

Ciò che ha davvero significato richiede impegno e fatica. Solo la motivazione avvia, guida e mantiene comportamenti mirati. Solo la motivazione ripaga gli sforzi e gli ostacoli affrontati. L’impulso motivazionale si ha ogni volta che l’individuo avverte un bisogno, che rappresenta di fatto la percezione di uno squilibrio tra la situazione attuale e quella desiderata. Il bisogno è, quindi, uno stato di insoddisfazione che spinge l’uomo a procurarsi i mezzi necessari per riuscire a realizzarlo o sublimarlo.

Una suddivisione divenuta ormai classica distingue tra le motivazioni intrinseche e quelle estrinseche. Le prime inglobano i bisogni innati che provengono dall’interno dell’individuo stesso. Le seconde, invece, sono basate su una spinta che si volge a ottenere un beneficio esterno. L’essere umano si muove in funzione di ottenere vantaggi materiali (buoni voti, fama) o immateriali (carriera, potere).
A tal proposito, affascinante è la piramide di Maslow, ideata nel 1954 dall’omonimo psicologo, che si propone come un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni. In base ad essa, la soddisfazione dei bisogni più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di ordine superiore. Alla base della piramide ci sono i bisogni essenziali alla sopravvivenza; salendo verso il vertice, si incontrano i bisogni più immateriali. Si parte dai bisogni primari e fisiologici, come cibo, acqua ed impulso sessuale a quelli di sicurezza (protezione, lavoro, salute e famiglia). Salendo, si incontrano poi i bisogni di appartenenza (famiglia o amici), quelli di stima (essere riconosciuto, realizzato) fino all’autorealizzazione, la quale altro non è se non l’aspirazione individuale a essere ciò che si vuole sfruttando le facoltà mentali e fisiche.

I bisogni fondamentali, una volta soddisfatti, tendono a non ripresentarsi, mentre i bisogni sociali e relazionali rinascono con nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere, almeno secondo Maslow. Una concezione che viene messa in dubbio dal neurologo e psicologo Viktor Frankl, che non esitò a provare come spesso, nonostante i bisogni più bassi non siano soddisfatti, un bisogno più alto, quale la ricerca di significato, può diventare più urgente. Mentre per Maslow l’essere umano è mosso dal bisogno, per Frankl, invece, dal desiderio di significato. Una “vita” significativa è, per quest’ultimo, una vita ricca di compiti, ovvero di appelli alla capacità umana di rispondere ad una problematica nella convinzione di poterla risolvere. L’essere umano sarebbe così libero di agire facendo leva sulle proprie risorse, compiendo così necessariamente degli sforzi1.

Per quanto la tematica richiederebbe un approfondimento maggiore, basti qui considerare il rischio lucidamente individuato da Frankl insito nell’autorealizzazione referenziale e solitaria. Essa, da sola, non rappresenta un criterio esaustivo per una teroria motivazionale. Da qui il concetto di autotrascendenza, che il neurologo spiega utilizzando la metafora dell’occhio. Un occhio può vedere se stesso solo in una condizione patologica di cataratta o glaucoma. Allo stesso modo, l’essere umano deve dimenticarsi di sé e porsi al servizio di una causa, dell’attuazione di un senso o della dedizione a un compito o a una persona.

Infine, rimangono alcune domanda aperte: un percorso di autorealizzazione referenziale non porta l’essere umano sul baratro della solitudine? In che misura continua ad avere senso la ricerca di autodeterminazione? E ancora: quale senso può avere l’espressione individuale fuori da un orizzonte relazionale? D’altronde, per dirla con Dante, «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza» (Dante, Divina commedia, Inferno Canto XXVI).

 

Sonia Cominassi

 

NOTE
1. Cfr. Maria Teresa Russo, Etica del corpo tra medicina ed estetica, Rubbettino, Catanzaro 2008; L’uomo in cerca di senso. Uno psicologo nei lager e altri scritti inediti, presentazione di Daniele Bruzzone, Milano, Franco Angeli, 2010.

[Photo credit Alexis Fauvet via Unsplash]

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