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A lezione di vita. O di morte?

Ultimi giorni di scuola.
I ragazzi entrano in classe, buttano lo zaino a terra vicino al banco e si siedono. La loro mente è già proiettata al di là di questi muri. C’è un dopo che li attende. Ma stamattina ho in serbo per loro un compito importante, ho una domanda che incombe.

“Che cos’è per te la felicità?” 

Mi guardano stupiti. Cercano conferma nel compagno di banco. Non è una domanda facile, lo so. Nel giro di pochi minuti le mani inforcano la penna e cominciano a scivolare leggere sul foglio. Ogni tanto si inceppano e il loro sguardo incrocia il mio, poi via di nuovo a intessere questa inconsueta ragnatela di significati.

Quando tutti hanno finito, incalzo con il secondo quesito. Ora scrivi che cosa fai per essere felice. “Ah… questa è più facile, prof!”, dice qualcuno. C’è chi scrive senza alzare mai lo sguardo, chi invece ha bisogno di prendere fiato.

Ultimo compito. Ora scrivi tre cose che ti tolgono la felicità. Nessuno obietta. Tutti hanno qualcosa da dire e il mio obiettivo è in parte raggiunto. Quando raccolgo i fogli in una scatola, l’emozione è palpabile. Ci rendiamo conto che qui dentro c’è qualcosa di importante, qualcosa che va trattato con cura. Ridistribuisco i fogli a caso e incominciamo a leggere.

“La felicità è stare con la mia famiglia e con gli amici; la felicità è far contento un amico; è giocare a carte con i miei genitori, la sera. La felicità è raggiungere un risultato importante, prendere un bel voto. E’ rendere felici i miei….La felicità è…”. Ci sono tante parole preziose in questi fogli volanti ed è difficile passare oltre, ma quando affrontiamo la seconda domanda succede qualcosa di inatteso. Un ragazzo alza la mano e mi dice: “Prof, io per essere felice voglio pensare bene della morte”. Ho un attimo di smarrimento. “Cosa intendi di preciso?” ribatto.

“La morte è un fatto certo. Tutti dobbiamo morire. Se ci penso, mi spavento molto, è una cosa terribile sapere che ti accadrà. Se, invece, impari ad amare la morte, la tua vita sarà più serena e rilassata, darai più importanza alle cose che fai“.

Non posso credere che abbia detto proprio questo. “Vivere tenendo conto della morte è importantissimo, quanto difficile” gli dico, “e tu l’hai intuito ora, a soli 14 anni. Bravo.”

Mi guarda inorgoglito e io ripenso alle bellissime pagine di uno dei più grandi filosofi del ‘900, Heidegger. Nel suo libro Essere e Tempo, un progetto ambizioso rimasto però incompiuto, egli fa un’analisi profonda dell’uomo come Essere gettato nel tempo. La sua esistenza è destinata a finire perché è proprio la morte a caratterizzare il suo Esserci qui e ora. L’uomo per definizione è un essere mortale. Ma l’angoscia che lo attanaglia, quando comprende questo, è un sentimento  tanto doloroso quanto necessario. Vivere il vuoto, accusare il non senso di una vita che è destinata a finire, può causare smarrimento all’inizio, ma poi diventa la chiave di volta per iniziare a vivere in modo autentico

Vivere sapendo di morire ci mette davanti a una scelta fondamentale. Continuare a tirare avanti come se fossimo immortali, sprecando il tempo in chiacchiere, facendo cose inutili, basando la nostra felicità su oggetti che non ci apparterranno mai del tutto, oppure prendere in mano la vita e decidere ogni mattina dove orientare il timone.

«Prima di tutto bisogna caratterizzare l’essere-per-la -morte in quanto essere-per una possibilità, e precisamente per la possibilità più specifica dell’Esserci stesso. Essere-per  una possibilità, cioè per un possibile, può significare: avere a che fare con un possibile nel senso di prendersi cura della sua realizzazione» (Martin Heidegger, Essere e Tempo, 1970).

La morte è l’unica certezza, tutto il resto è possibilità. Siamo artefici del nostro quotidiano,  ogni giorno siamo chiamati a dare un senso a ciò che facciamo, a prenderci cura delle nostre possibili vie da percorrere.

Io avrei potuto entrare in classe e fare la mia solita lezione. Non l’ho fatto. Ho scelto di porre una domanda importante e tutto ciò ha dato un senso inaspettato alla mia quotidianità. Questa è la nostra grandezza, la scelta che facciamo ogni volta che iniziamo le nostre giornate. Tutte.

 

 

[immagine tratta da Unsplash]

Erica Pradal

creativa, empatica, appassionata

Mi chiamo Erica Pradal e vivo a Barbisano, in provincia di Treviso. Laureata in Filosofia, da anni insegno Lettere alla scuola secondaria di 1° grado “G. Toniolo” di Pieve di Soligo e il contatto con i ragazzi mi arricchisce ogni giorno. Ho molte passioni, tra cui la lettura ad alta voce, che mi ha permesso […]

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