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La tua casa in noi. Il divino che ci salva dal non senso

Durante le nostre intense giornate può capitare di avere dei momenti in cui ci si ferma a pensare a quale sia lo scopo di quello che si fa. Ci alziamo, ci vestiamo, lavoriamo, studiamo… ma facendo tutto questo cosa facciamo in fondo? Dove andiamo? Siamo solo marchingegni di una ruota che viene chiamata società, che dobbiamo mandare avanti? Siamo solo chiamati a questo o esiste una dimensione più grande nella quale ci possiamo raccogliere? C’è un fine, una meta, un senso?
Riconoscendosi in questo sentire, ma non sapendo come definire la sofferenza che si sente, il dilemma che si vive, possiamo individuare che la ferita è molto antica ed è il problema con cui l’umanità fa i conti praticamente da secoli: il problema del senso della vita. E, ovviamente, del suo non senso.

Oggi, in un momento in cui sono sicuramente molti i motivi per odiare la specie umana – pensiamo solo a quello che stiamo facendo al nostro Pianeta e alle numerose guerre nel mondo – al non senso della vita si è sommata anche un’importante deriva pessimistica nei confronti dell’uomo, che rischia di farci sentire ancora di più disorientati e in balia della paura.
C’è, però, un grande insegnamento, un’ispirazione luminosa che ci arriva in aiuto. Sono pagine di un diario scritto in anni davvero bui, quelli del 1941-1943: gli anni della Germania nazista e dello sterminio degli ebrei. È il Diario di Etty Hillesum, un classico a cui il tempo non ha tolto la sua forza e la sua energia curativa.

Etty Hillesum morì ad Auschwitz per sua scelta nel novembre del 1943. Nel luglio 1942, mese ed anno in cui ad Amsterdam ebbe luogo la prima grande retata, decise spontaneamente di andare a Westerbork con gli ebrei prigionieri. Non voleva sottrarsi al destino del popolo ebraico. Scrive J.G. Gaarland nell’introduzione al Diario edita da Adelphi:

« [Etty Hillesum] era convinta che l’unico modo di rendere giustizia alla vita fosse quello di non abbandonare degli esseri in pericolo, e di usare la propria forza per portare la luce nella vita altrui. I sopravvissuti del campo hanno confermato che Etty fu, fino all’ultimo, una personalità “luminosa”».

Il diario, scampato allo sterminio della famiglia e poi passato di mano in mano, apparve finalmente nel 1981 presso l’editore De Haan ed ebbe un immenso successo. Quella luce di cui parlavano i sopravvissuti è custodita in ogni singola parola che lei ha scritto. E in particolare la si può ritrovare in una pagina intitolata Preghiera della domenica mattina, che la Hillesum scrive nel 1942, quando i tempi sono ormai bui e angosciosi: «L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Si, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi» (E. Hillesum, Diario 1941-1943, 1985).

Forse, nell’espressione «la tua casa in noi», Etty Hillesum vuole ricordare quella luce, quella luminosità che alberga in ogni uomo, quella sorgente profonda, quella scintilla divina, quella Natura, quel Dio. Non importa che nome gli diamo. Anche altri grandi filosofi e pensatori possono essere avvicinati a questo sentire. Socrate, ad esempio, parlava spesso di qualcosa di divino e demonico in lui; Seneca, nelle sue lettere, scrive a Lucilio «Dio è vicino a te»; Marco Aurelio parla di un demone che risiede nel petto e Agostino, nelle Confessioni, si rivolge a Dio dicendo: «Tu eri dentro di me nel mio intimo».

Quel piccolo pezzo di divino in noi potrebbe essere l’unica cosa che vale davvero la pena salvare e difendere fino all’ultimo. Lo si può coltivare passando del tempo nella natura, leggendo i classici, meditando, ascoltando della musica. Lo si può coltivare accettando noi stessi, accettando la vita, portando la nostra luce nella vita degli altri.
Ognuno di noi può scegliere il modo tramite il quale riconnettersi alla sua casa, l’importante è restare con se stessi, perché in noi si cela l’unico balsamo che può guarire la ferita del non senso, che ci salva dal nulla, dal nichilismo, dal male di vivere del nostro tempo.

 

 

NOTE: [Photo credits Benjamin Davies via Unsplash]

Martina Notari

generativa, leggera, autentica

Ciao, mi chiamo Martina, ho 40 anni e sono giornalista professionista e Naturopata. Vivo in Toscana, a Quarrata, in provincia di Pistoia e dal 2020 sono mamma della mia splendida Diana. Mi sono laureata in Filosofia e Forme del Sapere all’Università di Pisa nel 2007, con una tesi su Machiavelli e le sue commedie. Nel […]

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