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La scuola che educa

Nell’epoca attuale, caratterizzata da profonde e continue trasformazioni economico-sociali, alla scuola, spesso accusata di essere obsoleta, viene posta una domanda ricorrente: come preparerà gli studenti ad affrontare e gestire efficacemente la crescente complessità della realtà, contribuendo alla costruzione di percorsi di vita gratificanti e formando al contempo cittadini consapevoli e responsabili?

Nelle nuove Linee guida per l’orientamento, il Ministero dell’istruzione e del merito trova la soluzione nell’implementazione di «un sistema strutturato e coordinato di interventi che, a partire dal riconoscimento dei talenti, delle attitudini, delle inclinazioni e del merito degli studenti, li accompagni in maniera sempre più personalizzata a elaborare in modo critico e proattivo un loro progetto di vita, anche professionale». Il fulcro di questo programma concerne l’adozione di un cambio di prospettiva. Sottolinea la necessità di una nuova visione della didattica, che abbia il focus centrato sugli studenti più che sui saperi, che veda gli insegnati svolgere il ruolo preminente di “educatori”, architetti e guide del percorso di crescita degli studenti – piuttosto che quello di semplici “istruttori”, dispensatori di nozioni – e che funzionalizzi la trasmissione dei saperi allo scopo precipuo di condurre gli studenti a conoscere se stessi, il loro potenziale latente, perché possano esprimerlo in modo significativo e realizzarsi umanamente e professionalmente.
L’etimologia della parola educare coglie appieno il senso di questa finalità: dal latino educěre (trarre fuori) indica l’atto dell’estrarre qualcosa, del fare emergere «potenzialità già inscritte naturalmente nel soggetto», piuttosto che quello di introdurre «conoscenze già stabilite» nella forma dell’accumulazione continua e ripetitiva (cfr. M. Recalcati, L’ora di lezione, 2014).

Il filosofo Socrate fu il primo maestro a praticare l’arte della maieutica, guidando i giovani, attraverso un processo di autoesplorazione, al gnòthi seautòn (conosci te stesso), a partorire la propria verità interiore, per raggiungere una comprensione più profonda non solo di se stessi ma anche del mondo. Difatti, l’educěre rimanda anche all’esperienza del “portare oltre, all’apertura verso l’esterno, al confronto con l’alterità, la varietà e molteplicità della realtà che si vive, e dunque all’affinamento della capacità di orientarsi nel mondo attraverso la riflessione personale e l’azione autonoma, con la consapevolezza di ciò che è vero e giusto.
Socrate sosteneva che «una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta» (cfr. Platone, Apologia di Socrate, 37a-38c), per questo, con il suo incessante domandare attraverso il dialogo, soleva spronare i giovani all’analisi critica, alla riflessione costante, poiché era persuaso che la società umana non possa progredire senza l’autonomia di pensiero e di azione, l’autocoscienza e la sorveglianza critica di ciascuno dei suoi cittadini.

Il pensiero critico si configura come una sorta di antidoto alla pigrizia mentale, ai pregiudizi e agli errori di valutazione, che possono impedirci di sviluppare pienamente il nostro potenziale umano, sociale e civico. Allora, alla scuola e agli insegnanti, prima che «formare utili impiegati», individui capaci di fare, compete «formare cittadini» (I. Dionigi, Osa sapere, 2019), individui che sappiano pensare per essere; spetta contribuire allo sviluppo integrale della personalità umana, delle sue capacità di autodeterminazione, di azione cosciente e responsabile. Si tratta di un compito tanto difficile quanto inderogabile, poiché contrasta la tendenza di molti giovani a lasciarsi modellare da potenti seduttori e distrattori: il mondo del mercato e della pubblicità che incita all’edonismo senza limiti e al consumismo dissennato; le nuove tecnologie spersonalizzanti e inebetenti; falsi modelli identificatori che fanno smarrire la consapevolezza di sé, mettono in crisi l’io, ostacolano la corretta costruzione dell’identità personale.

Educare rimanda infine al prendersi cura della condizione emotiva degli studenti, alla responsabilità di contribuire alla costruzione del loro bagaglio sentimentale. I sentimenti di gioia e di amore, rispetto e solidarietà, insieme ai loro contrari, non sono un corredo innato, bensì un possesso che si acquisisce culturalmente, si imparano leggendo poesie e la letteratura. Ed è indispensabile supportare i giovani in tal senso poiché, rinchiusi nella quotidianità virtuale dei social network, soffrono di analfabetismo emotivo: contraendo le esperienze reali, il fisico e concreto relazionarsi, si depauperano emotivamente e non sono più capaci di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, tanto da essere protagonisti di atti delinquenziali e violenti senza comprenderne la gravità. Tuttavia, l’azione educativa non sarebbe in grado di conseguire alcuno di questi obiettivi se non fosse supportata dalla passione. Come spesso sottolinea Galimberti, rievocando le parole di Platone: «La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore» (U. Galimberti, Il senso di fare scuola, 2009). Solo insegnanti rigorosi ma appassionati possono appassionare, invogliare i giovani al sapere aude, al coraggio di sapere per essere di kantiana memoria. L’apprendimento avviene per la «via erotica» (ivi), attraverso la fascinazione, suscitando l’interesse, che è il vero motore dell’educazione. Questa è la strada da percorrere.

NOTE
Photo credit Taylor Flowe via Unsplash

Marilena Buonadonna

Marilena Buonadonna

Solare, determinata, poliedrica

Mi chiamo Maria Buonadonna, anche se per tutti sono Marilena. Ho studiato musica fino a quando sono stata folgorata dalla filosofia, la passione della mia vita, che mi ha condotta a laurearmi con lode a 21 anni, con la tesi dal titolo Filosofie della natura ed etica ambientale. Dal 2005 insegno filosofia e storia a […]

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