Nel dicembre 2024 è uscito dopo 11 anni il rapporto OCSE sull’analfabetismo funzionale, che analizza le capacità di lettura e comprensione, di calcolo, e di risoluzione dei problemi nei cittadini dai 16 ai 65 anni. Questo studio ci regala una fotografia impietosa delle competenze acquisite nei paesi OCSE e in particolare in Italia, dove un terzo della popolazione adulta risulta essere analfabeta funzionale. Queste persone, quindi, pur sapendo leggere e scrivere, sono in grado di capire solo testi brevi ed elenchi organizzati, ma hanno notevoli difficoltà nel comprendere contenuti più lunghi e nell’utilizzarne in modo corretto le informazioni.
Se si considera la quantità di informazioni, spesso discordanti tra loro, a cui siamo quotidianamente sottoposti, si può quindi intuire l’enorme difficoltà che questi individui incontrano nell’orientarsi in questa giungla mediatica, a distinguere le notizie potenzialmente vere da quelle false, e a leggere la complessità del reale con uno sguardo adeguato. Dal rapporto emerge che questa categoria di persone si sente esclusa «dai processi politici e non ha le competenze necessarie per interagire con informazioni complesse in ambiti digitali, il che rappresenta una preoccupazione crescente per le democrazie moderne»1.
La filosofia politica si è a lungo interrogata su quali fossero le condizioni più adatte al fiorire e al consolidarsi dei sistemi democratici ed è spesso emersa la necessità di una corrispondenza tra democrazia e istruzione, che da questi dati risulta pericolosamente deteriorata. Alexis De Tocqueville, filosofo e sociologo, già negli anni ’30 del 1800 aveva posto questo problema analizzando la neonata democrazia americana, e si convinse che questo sistema politico potesse trovare piena realizzazione solo in un contesto di generale acculturamento, poiché un sistema di governo basato unicamente sulla forza dei numeri rischiava di trasformarsi in una «tirannia della maggioranza» (A. De Toqueville, Democracy in America, The University of Chicago Press, Chicago, 2000, p. 250). Il popolo elettore inatti, sebbene formato da tanti individui, esprime il suo volere come un unico grande organismo e, ovviamente, le sue scelte ricadono su tutti e tutte, anche su coloro che attraverso il voto avevano manifestato volontà diverse. Questo è il bello della democrazia ma, contemporaneamente, è anche il suo lato problematico: un sistema politico sicuramente imperfetto, ma che si è fatto garante di libertà un tempo impensabili. Quindi la maggioranza, che si fa carico di prendere decisioni per il popolo, dovrebbe anche avere gli strumenti per poterlo fare: distinzione del vero dal falso, pensiero critico, capacità di lettura della realtà; tutte competenze di cui molti cittadini-elettori non sembrano essere (più) in possesso.
Un secolo dopo un altro autore ha approfondito il rapporto tra Democrazia ed Educazione (1916), il filosofo e pedagogista John Dewey, che ha visto nell’educazione l’unica strada possibile per rendere fruibile il sistema democratico. Per Dewey la scuola in quanto istituzione non sarebbe una forma di preparazione alla vita, ma la vita stessa, il luogo in cui si crea la comunità e si forma l’opinione pubblica, la prima esperienza di partecipazione democratica. Per queste ragioni la funzione della scuola sarebbe imprescindibile, in quanto mediatrice tra fanciullo e società, che fornisce le competenze per potersi muovere nel mondo, per costruire se stessi, intessere relazioni e costruire un futuro collettivo. Scriveva il filosofo pragmatista:
«L’educazione può essere usata coscientemente per eliminare certi mali sociali evidenti, incamminando i giovani su sentieri che non produrranno questi mali» (J. Dewey, Democrazia ed Educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1949, p. 106).
Allora, quando ci interroghiamo sulle motivazioni di certi «mali sociali evidenti», come l’ascesa di leader populisti, il prendere piede delle varie teorie complottiste, la dilagante paura del diverso dal retrogusto razzista, l’arroganza del potere che mostra i muscoli, potremmo forse analizzare la situazione del nostro sistema educativo, che evidentemente non riesce più a svolgere il suo ruolo di fucina democratica e non fornisce gli strumenti indispensabili per poter comprendere una realtà complessa come quella contemporanea.
L’istruzione di massa e la democrazia sono due punti fermi della nostra società, l’una è garante dell’altra e insieme condizionano la nostra vita e le nostre libertà individuali e collettive, perciò è importante che tutti e tutte siano in grado di leggere la realtà e di scrivere il proprio futuro, perché in democrazia è sempre un futuro collettivo.
NOTE
1. Cfr. il report OECD Do Adults Have the Skills They Need to Thrive in a Changing World?, trad. mia.
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