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Guardiamo l’arte e la natura con gli stessi occhi?

Oggi c’è un gran discutere su natura e cultura e i presupposti di queste discussioni sono spesso ideologici. Per un lungo periodo gli elementi naturali raffigurati nelle opere d’arte di scuola italiana sono stati rappresentati con scopi allegorici o decorativi, più che come soggetto a sé stante avente un’anima propria. Come componente allegorica tali elementi hanno parlato di altro (morale, teologia, politica), mentre come entità decorativa essi sono stati un soggetto accessorio all’elemento antropico. Da questo possiamo facilmente capire che, fin dal medioevo, nella cultura italiana è esistita una generale subordinazione delle scienze naturali a quelle umanistiche. Alcuni critici affermano che predominante è stata l’idea platonico-cristiana, espressa dall’apostolo Paolo, secondo cui «la realtà fenomenica è immagine o simulacro di realtà sovrasensibili e rappresenta la via per la conoscenza del mondo invisibile» (L. Proscio, Il bestiario della cattedrale di Anagni, 2015). Tutto questo è ben visibile negli affreschi della cripta della cattedrale di Anagni (FR), come pure negli arazzi della dimora dei Borromeo sull’Isola Bella (VB) nei quali le scene di vita selvaggia nella natura non rappresentano altro che una raffigurazione della lotta tra il bene e il male.

Anche il paesaggio nell’arte classica italiana viene nella maggior parte dei casi rappresentato come elemento di sfondo rispetto alla presenza umana, se non addirittura come il frutto dell’azione di tale presenza; in questo senso è storicamente vero che l’uomo ha influenzato il paesaggio italico da lungo tempo, in particolare per quanto concerne la formazione dei paesaggi culturali, legati all’attività agricola e attraverso la gestione di prati, castagneti da frutto, colture promiscue, uliveti, pascoli arborati. Tutti questi elementi sono ben rappresentati nell’affresco dell’Allegoria del buono e cattivo governo in campagna di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) a Siena. Pensiamo anche all’idea formale di “giardino all’italiana”, così predominante nel nostro paese, rispetto al “giardino all’inglese”, di origine romantica: nel giardino all’italiana si trattava di dare ordine all’apparente caos della natura, così come la Chiesa romana e le varie famiglie nobiliari davano ordine al mondo e ai territori da loro governati. 

Nel Rinascimento si arricchiscono i significati simbolici ed allegorici degli elementi naturali raffigurati (in particolare quelli legati al mondo vegetale), sempre nascosti o posti sullo sfondo dei personaggi ritratti. Hieronymus Bosch (1450-1516) seguirà  solo in parte questa linea, dando vita ad un immaginario onirico e anti-classico che abbraccia aspetti mostruosi e animalità rimaste confinate per lungo tempo nei vari bestiarii medievali e nei riti neo-pagani; Bosch era fiammingo, ma avrà un seguito importante di seguaci anche in Italia.

Con il Romanticismo verso la metà del XIX secolo, l’uomo non è più al centro del Mundus così come rappresentato nella Cripta di Anagni, ma viene rappresentato spesso in balìa degli elementi così come appare nei dipinti di Caspar David Friedrich oppure in quelli di William Turner: egli diventa piccolo-piccolo tra paesaggi montani, foreste e tempeste, quasi in anticipo rispetto agli attuali cambiamenti climatici. Anche in Italia qualcosa evolve grazie alla circolazione di idee innovative che, seppur siano definite come estranee alla cultura italiana, probabilmente sono solo minoritarie o pionieristiche. Dapprima i Macchiaioli, dipingendo all’aperto ed in opposizione agli ambienti accademici, scoprono nuovi paesaggi e provano a catturare la luce naturale in scene quotidiane ambientate in vari contesti rurali italiani. Lorenzo Delleani (1840-1908), nei suoi paesaggi fluviali, a un certo punto comincerà a mettere in secondo piano le architetture urbane, mentre gli elementi antropici scompariranno poi dalle sue rappresentazioni e rimarrà solo il fiume o il torrente. Giovanni Segantini (1858-1899) nel suo Trittico delle Alpi rappresenterà la vita, la natura e la morte come perfettamente integrate: l’essere umano è in armonia con la natura, fa completamente parte di essa e… i suoi critici lo etichettano come “politeista”.

Per trovare una risposta alla domanda iniziale, che fa da titolo a quest’articolo, formuliamo una nuova domanda lasciando uno spunto: nel film Le otto montagne (tratto dall’omonimo libro diPaolo Cognetti del 2017) il protagonista montanaro dice all’amico cittadino che non esiste la “natura” e che questo termine è stato creato da chi, abitando in città, la cerca; esistono solo i suoi elementi (boschi, torrenti, rocce, pascoli) nei quali si svolge la vita di chi abita la montagna. In un prossimo contributo proveremo ad affrontare la questione dello sguardo sulla natura con un taglio più strettamente antropologico.

 

 

Paolo Varese e Chiara Bulla
Paolo Varese è laureato in Scienze Naturali all’Università di Nizza – Sophia Antipolis. Ha condotto studi e vita professionale a cavallo tra Italia e Francia. Vive in una valle del Piemonte alpino; attualmente é un  libero professionista e ricercatore freelance nell’ambito delle scienze applicate alla gestione degli ecosistemi e si interessa alle relazioni tra umani e natura, di arti figurative e di musica.
Chiara Bulla nasce a Crespi d’Adda (BG) in una famiglia di medici innamorati d’arte, la cui casa è aperta, come un cenacolo artistico, a musicisti, poeti e pittori. Laureata in Lingue e letterature straniere con una tesi sull’Avanguardia pittorica e letteraria russa, è attualmente docente di tedesco in una scuola secondaria di Bergamo.

NOTE: [Photo credit Maria Teneva via Unsplash]

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