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Comunicare l’intimità: il rapporto artista-pubblico nell’epoca dell’industria dell’arte

Qual è la cosa più importante quando sei un artista emergente, estremamente valido ma sconosciuto alle masse? Farti conoscere, è ovvio! Arrivare al pubblico. Farti vedere. Farti sentire. Raggiungere più persone possibile. Internet può aiutarti in questo: posta, condividi, invita, linka, spamma il tuo contenuto ovunque, fai in modo che gli occhi si rivolgano su di te. Diventa famoso, diventa una star. Un giorno forse potresti essere in televisione. Cattura il tuo pubblico, hai tutto quello che ti serve per farlo!

Oppure fermati. Forse ti sei già fermato. E l’hai fatto per un motivo preciso: ti stai chiedendo “perché?”. Sei di fronte alla tua opera, la guardi – o la ascolti, o la rileggi – e senti che dentro a quella cosa ci sei tu. Una parte della tua storia, del tuo sentire, del tuo pensiero è lì dentro. Senti il bisogno di comunicare agli altri quello che sei, quello che hai fatto; senti il bisogno di essere riconosciuto da loro e di essere guardato, di aprire la porta per lasciar vedere uno scorcio di te, di quello che hai a cuore, di quello che affolla la tua mente. Per questo hai deciso che vuoi condividere tutto questo con un pubblico.

A questo punto, la strada da prendere sembra molto chiara: è quella descritta qui sopra, quella che passa per internet, quella che può portarti al più vasto numero di persone. I media ce lo insegnano da sempre: quando si tratta di raggiungere il pubblico la massima universale è “the more, the better”.  Più pubblico significa più soldi, più visibilità, più sguardi. Ma tu sei pronto a sostenere tutti questi sguardi? Il tuo pubblico conoscerà una parte di te che tu forse hai considerato profonda ed essenziale. Tu non vedrai mai, probabilmente, i loro occhi.

Alcuni artisti di fronte alle grandi masse si sentono come prodotti in vetrina. È una sensazione che può essere capitato di provare ad ognuno di noi: quella di sentirci impotenti di fronte a sguardi che non possiamo controllare, che hanno la possibilità di guardarci come se fossimo cose. C’è chi non lo desidera. C’è chi non vuole essere semplicemente un prodotto.

Gli esempi di artisti contemporanei che decidono di abbandonare la prospettiva della fama e della grande diffusione per un approccio più intimo con il pubblico sono moltissimi, e continuano ad aumentare: dalla performance art, legata a quell’unico qui ed ora, io e te in cui si svolge, alla scelta di pubblicare le proprie opere tramite canali indipendenti e diffonderla solo entro una cerchia limitata di persone conosciute – o che fanno parte di uno stesso gruppo, di uno stesso movimento, che si trovano ad uno stesso evento.

Durante una delle mie frequenti peregrinazioni nel mondo della musica indipendente mi è capitato recentemente di imbattermi nei lavori di un giovane dj danese, Loke Rahbek – in arte Croatian Amor – che nel 2014 ha portato avanti un progetto molto particolare per il lancio del suo album The Wild Palms: vendere le copie dell’opera, disponibili in formato audiocassetta, durante un periodo di tempo limitato (dal 22 giugno al 22 luglio 2014) unicamente a coloro che gli avessero inviato una richiesta accompagnata da una foto che li ritraesse nudi e con la scritta “The Wild Palms” presente da qualche parte sul proprio corpo. Ogni copia era autografata dall’autore e accompagnata da una lettera con il suo speciale ringraziamento.

Lo scambio si basava su una mutua promessa: l’acquirente non avrebbe fatto ascoltare a nessun altro l’album, e l’artista non avrebbe mai mostrato a nessuno le fotografie. Lo scopo era quello di creare un rapporto di intima condivisione tra chi ascoltava la musica e chi l’aveva composta – un rapporto privato, unico, un rapporto di fiducia tra persone che non si conoscono, ma si mettono a nudo l’una di fronte all’altra. Io nudo nella mia musica, voi nudi nelle fotografie.

È un progetto sicuramente strano, e forse molti potrebbero trovarlo discutibile; ma in un mondo che vediamo sempre più sottoposto alla mercificazione di qualunque cosa, in cui l’industria musicale genera prodotti il cui unico scopo è incassare il più possibile durante quei due mesi in cui saranno ricordati, in cui la pubblicità dei contenuti li rende irrimediabilmente freddi e inumani, in cui la maggior parte delle immagini di nudo che circolano sono pura pornografia – nel mondo in cui insomma ci troviamo immersi ogni giorno, mi è sembrato un progetto straordinario.

Uno spunto di riflessione che non può fare a meno di farci ripensare il nostro rapporto con l’arte, con il suo significato. Davvero merita di diventare un prodotto industriale? Davvero possiamo permettere che istituisca rapporti tanto asimmetrici tra la “star” e i suoi fans? Davvero possiamo accettare che questa somma forma dell’espressione dell’umano e della connessione intersoggettiva sia consegnata ad una dimensione che ne sopprime il carattere intimo e profondo?

Ho saputo dell’esistenza di questa realtà solamente nel 2016. Il progetto The wild palms era concluso da due anni.

Rahbek non ha mai reso pubbliche le fotografie che ha ricevuto. Qualcuno ha caricato l’intero album su Youtube – non senza polemiche da parte di chi ne conosce la storia – e io l’ho ascoltato. Rahbek non ha mai avuto una mia foto.

Mi sono chiesta se abbia un senso così.

 

 

Eleonora Marin

Eleonora Marin è nata nel 1996 ed è attualmente iscritta al corso di laurea in Filosofia presso l’università Ca’ Foscari di Venezia.
Nel quotidiano cerca di far interagire il suo percorso di studi con la passione per la letteratura, la musica e le arti in generale.

[Marina Abramovič Licenza Creative Commons]

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