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Che fine ha fatto la giustizia?

Ogni giorno sentiamo parlare del bisogno di ricomporre i tasselli per una giustizia sociale, senza che alcun cambiamento prenda concretamente forma, lasciandoci in mano la speranza di un domani che sembra non arrivare mai.

Con ciò non voglio sostenere che la speranza sia sbagliata, tutt’altro.

Talvolta è proprio questa a tenerci psichicamente in vita quando le sabbie mobili sembrano risucchiarci.

A differenza dell’illusione, basata su una costruzione della mente che non potrà mai trovare realizzazione, la speranza ci spinge ad agire e ad attivarci in modo tale che tutti i progetti che ci siamo prefissati e le rispettive aspettative non vengano delusi.

L’attesa che sta alla base della speranza quindi, è volta alla costruzione, mattone dopo mattone, della nostra vita, tanto da darci quello slancio vitale che, dalle sabbie mobili, ci può far risalire, senza più cadere.

Se in fondo, ancora oggi, sentiamo parlare di speranza è perché ognuno ha preso consapevolezza delle fratture sociali esistenti e del bisogno di ripararle. Ma anche delle contraddizioni e delle ingiustizie che lo scorrere del tempo non ha fatto altro che intensificare, per non parlare poi delle disuguaglianze che stanno spaccando il mondo in due sfere che si oppongono: da un lato abbiamo il Nord, tecnologicamente avanzato e più ricco, dall’altro il Sud, sempre più terreno di sfruttamento e perciò, d’impoverimento.

Ma di quale sfruttamento stiamo parlando?

Non più unicamente materie prime, risorse materiali. O meglio, non solo.

Quello che si sta verificando ed intensificando è un vero e proprio sfruttamento umano, le cui risorse fisiche ed intellettuali non sono solo diventate oggetto di dominio da parte di quei paesi che, in quanto avanzati, riescono ad esercitare in loco la loro influenza facendo leva sulla debolezza dei paesi sotto-sviluppati. Ciò cui siamo diventati ormai spettatori impassibili è la nascita di un vero e proprio commercio umano che, attraverso l’intensificazione del fenomeno migratorio, sta contribuendo ad aumentare la distanza tra questi due mondi contrapposti.

Come poter fare in modo che quella speranza di cambiamento possa davvero raggiungere l’attualizzazione?

Come attivare un progetto volto a costruire una società giusta, basata su dei criteri di giustizia e di uguaglianza sociale e un mondo la cui ricchezza possa essere equamente distribuita, ponendo fine alla frattura tra Nord e Sud?

John Rawls, nella sua opera Una teoria della giustizia[1] sostenne che due avrebbero dovuto essere i principi alla base di una teoria della giustizia che fosse in grado di garantire libertà ed uguaglianza.

Il primo principio è quello, per l’appunto, di uguaglianza con il quale egli esprime l’importanza di dare a tutti la medesima possibilità di accedere ai beni sociali primali, applicando quello che anche Rawls definì con il termine di “velo dell’ignoranza”, che consiste nel fare astrazione di ogni tipo di criterio di discriminazione sociale, quale la razza, il sesso, la ricchezza, allo scopo di porre fine a tutte le disuguaglianze immeritate.

Il secondo, invece, è un principio di differenza rispetto il quale è possibile ammettere la presenza di alcune forme di disuguaglianza, a patto che i più avvantaggiati contribuiscano, con la loro ricchezza, a migliorare la situazione di chi si trova in maggiore difficoltà.

Tra i vari criteri secondo i quali una politica di questo tipo potrebbe contribuire a risanare le fratture sociali esistenti, vi è infatti il principio di mutuo soccorso, secondo il quale pertanto, a partire dal riconoscimento delle debolezze dei paesi meno sviluppati, l’aiuto reciproco ed un intervento solidale tra gli stati può fare in modo che questa voragine che separa paesi “ricchi” e paesi “poveri”, possa dissolversi.

Ma di quale riconoscimento stiamo parlando?

Secondo Axel Hotteth[2], si verifica un oblio del riconoscimento nel momento in cui il processo di mercificazione invade ogni aspetto e dimensione della vita. Ci si dimentica dell’altro quando la reificazione prende il sopravvento.

Tuttavia, quanto più l’essere umano è stato in grado di applicare la sua capacità raziocinante in funzione del profitto che da essa poteva trarre, tanto più, così facendo, ha perduto l’importanza del valore e del rispetto dell’altrui dignità, così anche della propria, dimenticandosi che cosa effettivamente vorrebbe dire quella “tonalità affettiva”[3] di cui Martin Heidegger parlava riferendosi al rapporto partecipativo, inglobante et qualitativo che l’esser umano stabilisce con le cose, le alterità e il mondo in cui è immerso.

 Sara Roggi

[Immagini gratte da Google Images]

[1] J.RAWLS, Una teoria della giustizia; cura e revisione di Sebastiano Maffettone ; traduzione di Ugo Santini; I ed. riv., Milano : Feltrinelli, 2008,

[2] A. HONNETH, Reificazione. Uno studio in chiave di teoria del riconoscimento (2005), trad. it. di C. Sandrelli, Roma, Meltemi 2007

[3] Ibidem

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