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Buono da mangiare (?)

Il cibo e la sua condivisione riferiscono significati simbolici, morali e relazionali che trascendono il semplice valore nutrizionale e la necessità per l’organismo di alimentarsi e mangiare. Parlare di alimentazione è, in qualche modo, parlare dell’essere umano sotto una serie di aspetti che spaziano dall’interiorità individuale, alla storia personale e sociale, alla religiosità, all’identità etico-sociale. Se è vero che negli anni abbiamo superato il binomio “mangiare e non essere mangiati”, fonte di primitive preoccupazioni legate alla sopravvivenza, attualmente, il cibo è comunque tornato ad essere una questione complessa sotto altri aspetti. 

L’alimentazione oggi riflette valutazioni morali, adesione a determinati stili di vita, appartenenze, rapporti con il proprio corpo, consapevolezza di responsabilità relative al consumo di un determinato cibo. La società odierna è travolta da nuovi orizzonti antropologici e assiologici che conducono il cibo, emblema di civiltà, ad assumere una valenza etica che connette il buono al giusto, al sano, allo stare a tavola. Oggi, il termine “buono da mangiare” ha un duplice significato: non concerne solo ciò che è commestibile, appaga il gusto, è conforme a determinati criteri gastronomici e dietetici ma anche, e soprattutto, ciò che corrisponde alla nostra idea di “vita buona”, ciò che si attiene a determinate prerogative etiche di osservanza e di chiarezza della filiera produttiva.

Ogni scelta alimentare rivela chi siamo, rende noti i nostri orientamenti personali ma, parallelamente, sul piano dell’etica pubblica, converge nel consolidamento di determinate politiche di produzione cui, coscientemente o meno, come consumatori, diamo la nostra approvazione. Emblematici in tal senso sono i cibi soggetti a manipolazione transgenica nei quali il patrimonio genetico è modificato, allo scopo di ricavare benefici nelle fasi di coltivazione e di produzione. Tali modificazioni sono riconducibili a un contesto alimentare artificioso, alieno ai valori etico-ambientali e in accordo con l’idea di rielaborazione tecnologica della natura.

Figlia della questione alimentare contemporanea è anche la dissociazione del binomio piacere e salute indotta dalla progressiva evoluzione scientifica dell’idea di dieta e il suo conseguente specializzarsi in dietetica. Tale fenomeno ha dato origine a una sostanziale modifica dello statuto dell’alimento, sempre più confinato all’ambito chimico-biologico e ridotto alla nozione di caloria, dove il concetto di dieta, e quindi l’idea di salute, sono degenerate nel salutismo estremo: una delle cause principali della medicalizzazione della vita quotidiana.

Questa dittatura del corpo e dell’apparire ha portato ineluttabilmente alla destrutturazione dei tempi e della convivialità del pasto, indebolendo la funzione rituale e socializzatrice dello stare a tavola. L’essere umano, deprivato del piacere di mangiare intrinseco all’originario concetto di dieta associato a un’arte del vivere bene, rischia di sprofondare più o meno volontariamente in quell’angoscia esistenziale propria del linguaggio psicopatologico dell’anoressia, della bulimia e dell’obesità. La drammatica correlazione dell’essere e dell’apparire necessita di puntare ad un superamento o perlomeno al recupero di un equilibrio esistenziale fondato sull’ideale etico al quale la società contemporanea dovrebbe ispirarsi: la priorità della persona e della sua realtà più autenticamente umana.

La questione alimentare e di cosa mangiare è dunque diventata troppo importante per essere affidata ai soli nutrizionisti. Per questo chiamiamo in causa la bioetica che, grazie alla sua natura interdisciplinare e alla sua capacità di confrontare e integrare diverse prospettive, può costituire la prospettiva più adeguata per affrontare la questione alimentare sotto i profili medico-sanitario, psico-sociale, giuridico-normativo, economico ed etico. 

Chiamiamo in causa una bioetica alimentare che non deve essere ambito di riflessione solo per gli esperti, per gli “addetti ai lavori” di una determinata scuola di pensiero o disciplina accademica; è necessario lavorare nel quadro di una sempre maggiore democrazia deliberativa. La bioetica deve essere spazio di ricerche reso comprensibile e intelligibile a tutti i cittadini poiché tutti, come individui e come collettività, siamo chiamati a scegliere e a prendere posizione.

 

Silvia Pennisi

 

[Photo credit unsplash.com]

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