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Amare l’Amore

In un’epoca appiattita intorno al concetto di homo oeconomicus, in cui la dignità di quello che Aristotele aveva definito un “ animale politico” dipende strettamente ed in modo univoco dalla sua capacità di produrre beni materiali tangibili, la ricerca di un senso metafisicamente altro rispetto all’hic et nunc e tutto ciò che non è matematicamente quantificabile sembra perdere ogni valore.

L’amicizia, l’amore, la dignità si riducono a belle parole che stanno bene nei libri e nella mente dei sognatori. All’uomo pragmatico servono altri mezzi che gli permettano di raggiungere machiavellicamente il suo fine. Questo ritratto a tinte fosche, come tutti i ritratti, è certamente parziale, coglie un aspetto soltanto della realtà ( quella realtà che lo stesso Aristotele ci ricorda che “si dice in molti modi”), che tuttavia sta divenendo maggioritario nell’uomo del XXI secolo.

Orbene, come arginare una tale deriva ? Il migliore dei mondi possibili è davvero quello privo di ogni sentimento, in cui ogni rapporto che non porti ad una produttività materiale è da considerarsi obsoleto e, pertanto, da eliminare il prima possibile ?

Questa ideologia, in cui nessuno sembra riconoscersi, è , a ben vedere, la stessa sottesa a tutta una politica che considera la cultura, nel senso più ampio del suo termine, da quella umanistica a quella scientifica, come un peso, che grava economicamente sulle spalle del Paese e che, a conti fatti, non produce nulla di immediato e quantificabile. La cultura infatti richiede una spesa, che non è in grado di ricompensare economicamente a breve termine ed è quindi il primo spreco da tagliare. Questa la logica che ci ha governato negli ultimi anni. Nessuno ha però il coraggio di riconoscersi in una tale ottica, dicevo, ed è proprio questo il male maggiore: una malattia non diagnosticata, è una patologia che non confluirà mai nel letto della fisiologia.

Ma l’uomo comune che cosa può fare per combattere, nel suo piccolo, questa dilagante epidemia di un’economia autoreferenziale, che tende cioè a riportare tutto a sé come sommo valore e indicatore ?

Direi che innanzittutto dovrebbe ripartire da se stesso. E pensare che la sua dignità non dipenda dalla sua produttività ( perché, in fondo, è questo che pensiamo e che ci hanno insegnato a partire da una concezione competitiva della vita ), ma da qualcos’altro. C’è chi, come Kant, diceva che la dignità della persona dipende dalla sua razionalità. Una soluzione, per certi versi accettabile, ma per molti altri riduttiva: un folle non merita, in quanto folle, il riconoscimento di una dignità?

Io proverei ad azzardare una dignità basata sullo stesso concetto di uomo. L’uomo, in quanto uomo, ha la sua grande dignità, di cui nessuno strumento tecnico ed economico potrà mai privarlo.

Una delle grandi ricchezze immateriali che dovremmo riscoprire in noi è la capacità amare. E non amare per qualche fine, ma amare per amare in sé. Scrive Sant’Agostino nelle Confessioni :

“ Non amavo ancora, eppure amavo l’amore”.

Arrivare a questo grado risolleverebbe di molto le nostre sorti. Una volta riacquisita una piena consapevolezza del significato dell’amore, occorrerebbe riflettere sulla deriva che i rapporti interpersonali hanno preso negli ultimi anni. Ai rapporti “corti” del contatto interumano, si preferiscono quelli “lunghi” e “a distanza”, favoriti da uno sviluppo tecnologico che non riconosce altro fine oltre se stesso. Si ha la pretesa di arrivare ovunque, ma, come ci ricorda Seneca nelle sue epistole a Lucilio :

“ Non è in nessun luogo chi è dappertutto”.

A questa miopia si aggiungono altri mali, che contaminano quei pochi rapporti autentici che ci sono.

Uno di questi è la gelosia, tipica espressione inclusiva e spersonalizzante, che racchiude l’altro in angusti confini stabiliti dal proprio egoismo. Paradossalmente è spesso considerata un’espressione positiva dell’amore, che cela invece una visione riduttiva dell’altro e dello stesso rapporto affettivo, che si risolve in una reciprocità chiusa in sé e non aperta all’altro. L’uomo è vittima inconsapevole di modelli estrinseci che gli sono stati consegnati come veri. Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso, alla voce atopos, dopo aver ricordato che questa è la qualifica attribuita a Socrate dai suoi interlocutori, afferma:

“ La maggior parte delle ferite d’amore me le procura lo stereotipo: io sono costretto […] ad esser geloso […]. Ma quando la relazione è originale, lo stereotipo viene sconvolto, superato, evacuato, e la gelosia, ad esempio, non ha più luogo d’essere in questo rapporto senza luogo […]”.

Bisogna, quindi, guadagnare nell’originalità del rapporto per liberarci dalle catene che ci stringono: una reciprocità gelosa è semplicemente una forma patologica di possesso dell’altro.

Si potrebbe pertanto ripartire da qui, ad esempio, da una più autentica considerazione di sé a partire dal rapporto con l’altro. Basterebbe riappropriarsi del proprio valore di uomini in quanto uomini per poter spodestare la logica economica dal suo trono.

E per fare ciò, si deve saper cambiare, si deve saper attuare quella “repentina rivoluzione del modo di pensare”, tante volte ricordata da Kant nella sua prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion Pura.

 

 

Riccardo Di Stefano

Sono uno studente iscritto alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Macerata. Ho conseguito la maturità classica nel 2013 con il massimo dei voti. Nel 2012 ho vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi Nazionali di Lingue e Civiltà Classiche bandite dal MIUR e nel 2013 il primo premio al Certame Internazionale Bruniano di Nola. I miei interessi principali sono la filosofia e la lettura. Amo divertirmi e la compagnia di persone buone.

[Immagini tratte da Google Immagini]

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