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La cancel culture: nuova frontiera della damnatio memoriae?

Georg W.F. Hegel sosteneva che ogni momento della storia fosse necessario e ragionevole, ma alla luce dei recenti avvenimenti causati dall’invasione dell’Ucraina del 24 Febbraio 2022 da parte della Russia, tale concetto sembra venir meno sempre più, portando con sé episodi di ostracismo, spesso e volentieri ingiustificato, nei confronti della cultura russa, che investono anche personaggi morti e sepolti che nulla c’entrano con tali fatti.
Si pensi in prima battuta al caso del ciclo di quattro lezioni di Paolo Nori su Dostoevskij che si sarebbe dovuto svolgere presso l’Università Bicocca di Milano, ma che quest’ultima ha preferito rimandare al fine di evitare ogni forma di polemica in un momento di forte tensione, ripensandoci poi in un secondo momento, dopo essersi resa conto dell’assurdità di tale censura: può davvero essere così lesivo tenere un corso su un colosso della letteratura russa morto nel 1881? È questo il modo di palesare la nostra solidarietà al popolo ucraino?

La domanda che dobbiamo porci è se sia realmente efficace combattere un’ideologia non condivisa con la cancellazione della cultura o della storiaStoricamente, specie nell’antica Roma, era già presente un sistema molto simile a quello che oggi definiremmo cancel culture: ovviamente tutti ricorderanno nei libri di storia il concetto di damnatio memoriae, ossia la pena consistente nella cancellazione di ogni traccia riguardante un determinato personaggio come se egli non fosse mai esistito, che si applicava attraverso l’abbattimento di statue equestri e monumenti inerenti ai cosiddetti hostes (nemici del Senato romano) e ai traditori dello stato.

Ma la damnatio memoriae, a differenza della moderna cancel culture, derivava dall’imposizione di poteri pubblici dotati di coercizione e veniva applicata, ragionevolmente, al fine di abbattere le tracce storiche di sistemi ai quali non si sentiva più di appartenere. Sappiamo bene, infatti, che tale punizione non venne applicata solo nella Roma antica, ma anche a personaggi e regimi politici di epoca moderna: subirono infatti una damnatio memoriae il fascismo in Italia, il nazismo in Germania, il franchismo in Spagna, così come furono rimosse le statue di di Saddam Hussein in Iraq e di Gheddafi in Libia, lo stesso avvenne in Unione Sovietica che, dopo la morte di Stalin, subì un processo di destalinizzazione atto alla cancellazione di ogni monumento che esaltava il culto del dittatore. La cancel culture, invece, nonostante le affinità che la avvicinano al concetto di damnatio memoriae, si delinea come moderna forma di ostracismo nella quale qualcuno o qualcosa diviene oggetto di proteste in nome della cultura del politically correct, facendo sì che tale personaggio o ideologia venga rimossa sia dal mondo reale, che da quello digitale e social.

La cancel culture può considerarsi dunque la nuova frontiera della damnatio memoriae? Per rispondere a questa domanda è necessario sottolineare la differenza tra storia e memoria: abbattere una statua o cancellare un’effige, non elimina certamente ciò che è stato, lascia quindi immutata la storia, ciò che viene cancellata è solo la memoria di un determinato personaggio o di un’ideologia; inoltre la damnatio veniva applicata per eliminare dalle città simboli che non appartenevano più alla cultura di un determinato popolo e nei quali non si rispecchiavano più, sarebbe piuttosto assurdo immaginare Berlino ancora piena di svastiche o una Roma colma di appariscenti simboli legati al fascismo. Diverso è però applicare una censura nei confronti di elementi storico-culturali appartenenti ad epoche passate, solo perché affini ad ideologie attuali che oggi non condividiamo: il caso preso da esempio all’inizio, delle lezioni su Dostoevskij è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero portare; per citarne un altro potremmo ricordare la sospensione da parte della HBO dello streaming sulle piattaforme digitali del famosissimo film del 1939 Via col vento, in seguito agli episodi razziali che portarono alla morte di George Floyd in America il 25 maggio 2020 e le conseguenti polemiche che hanno condotto a episodi iconoclasti volti alla rimozione di statue e monumenti di un passato razzista e schiavista nei confronti degli uomini di colore.

Per quanto assolutamente comprensibile possa essere l’indignazione di fronte all’episodio della morte di Floyd, non si può dire lo stesso della cancellazione di un film del 1939, girato in un’epoca differente impossibilmente sensibile alle tematiche che attualmente riusciamo a comprendere. Lo stesso si può dire della questione Dostoevskij: che la guerra attuata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina vada condannata è indubbio, ma perché cancellare corsi su un pilastro della letteratura, solo perché russo? Non è censurando un corso universitario, un vecchio film dalle piattaforme digitali o celandosi in maniera ipocrita dietro terminologie politicamente corrette che si combatte un’ideologia attuale alla quale non ci sentiamo di appartenere, specie se ciò che si vuole andare a cancellare è ormai assolutamente decontestualizzato dal mondo attuale, sarebbe quindi il caso di essere più “comprensivi” nei confronti di personaggi, libri, film e così via, facenti parte di un passato, che per quanto spesso sia stato oscuro, non è possibile cancellare.

 

Federica Parisi

Federica Parisi, classe 1991, ha studiato presso l’Università degli studi Roma Tre, conseguendo la laurea in Filosofia con una tesi sull’assurdo in Albert Camus, suo scrittore preferito e si è poi specializzata in Scienze Filosofiche con una tesi riguardante lo studio del concetto di colpa nelle opere di Franz Kafka. I suoi maggiori campi di interesse sono la Filosofia morale e la Filosofia delle religioni e ama coniugare i suoi studi con la letteratura, altra sua passione. Attratta da ogni forma e manifestazione d’arte, adora visitare mostre e musei, andare a teatro e viaggiare sia per il mondo, che con la mente!

[Photo credit Pixabay]

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