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Giornata della Memoria: per una memoria non fine a se stessa

Se una volta il calendario cartaceo era solito riportare con massima attenzione i nomi dei Santi religiosi e le ricorrenze della cultura popolare, ad oggi il nostro calendario social-mediatico ci informa quotidianamente su tutt’altro genere di notizie. Alcune ricorrenze attirano con forza la nostra attenzione e la nostra sensibilità, altre sembrano invece essere decise a tavolino per fini strettamente pubblicitari e/o commerciali finendo per apparirci come totalmente irrilevanti.

Una delle ricorrenze più importanti, non soltanto dal punto di vista storico, ma anche e soprattutto dal punto di vista civico è la Giornata della Memoria. Ogni anno possiamo assistere a numerose e svariate iniziative ad essa dedicate, in tutti gli ambiti culturali. Essa è stata stabilita al 27 Gennaio, data che nel 1945 ha visto l’apertura dei cancelli di Auschwitz; la sua portata commemorativa però va e deve poter andare ben oltre questa semplice data.

Ciò che deve stimolare in noi la curiosità e la riflessione è l’intitolazione ufficiale della ricorrenza: “Giornata della Memoria“. Qualsiasi tipo di anniversario, per definizione, si propone di ricordarci un particolare avvenimento. La Giornata della Memoria, invece, in quanto tale, sembra volerci ricordare di ricordare. Sembra che essa non voglia semplicemente ricordarci quanto è stato, ma che voglia imporci il ricordo stesso! Da questo punto di vista il 27 Gennaio sarebbe allora la giornata della memoria per antonomasia, la quale da sola si fa carico, e quale altra ricorrenza potrebbe riuscirci meglio, di farci volgere per un attimo lo sguardo verso tutte quelle pagine che la storia vorrebbe strappare dal suo libro infinito.

Da un punto di vista più filosofico, però, l’imposizione del ricordo fa si che l’esercizio della memoria e l’appello ad essa siano un dovere! Si può davvero imporre la memoria? E’ auspicabile che il ricordo assuma la forma di un imperativo?

Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto il testo “Se Auschwitz è nulla – Contro il negazionismo”, scritto da Donatella Di Cesare. In queste pagine è affrontata la delicata questione del negazionismo, quel filone di pensiero storicamente revisionista che mira a negare dei particolari avvenimenti storici. Nel caso della Shoah l’atteggiamento negazionista si fa impressionantemente radicale in quanto la negazione di ciò che è stato è funzionale al proseguimento dello sterminio. Per dirla con parole forti, che la stessa autrice non manca di sferrare: gli Ebrei saranno sconfitti definitivamente soltanto se si riuscirà a cancellare dai resoconti storici la stessa attestazione del loro annientamento. Il negare, dunque, per queste organizzazioni, è un atteggiamento intenzionale, volto all’annientamento complessivo dell’intera vicenda che ha coinvolto il popolo ebraico.

Date queste premesse, l’esercizio della memoria e del ricordo dovrebbe allora essere considerato come una sfaccettatura della formazione da incoraggiare e una consuetudine civica da promuovere. Con ciò però si intende un sano dovere della memoria: “sano” poiché è necessario badare bene a non storpiarlo o snaturarlo. In molti, infatti, hanno posto l’attenzione su questo aspetto: il rischio a cui storici e intellettuali si riferiscono si identifica con la conversione della memoria in culto, della commemorazione in celebrazione.

L’esercizio della memoria non può essere fine a se stesso, non deve semplicemente fare luce sul passato per ricordarci di non ripetere gli sbagli di quanti sono vissuti prima di noi. L’eterno ritorno alla Nietzsche è soltanto un’affascinante fantasia, perché il passato, lo sappiamo tutti, non ritorna tale e quale! L’esercizio della memoria, a mio parere, deve essere un terreno fertile sul quale seminare e coltivare sguardi onesti ed accorti, che possano essere in grado di scovare, nelle vicende attuali, non le somiglianze fattuali con quelle del passato, ma piuttosto le loro somiglianze motivazionali, al fine di smascherarne le tendenze corrotte e distorte.

Federica Bonisiol

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