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intervista a Gli uffici di Oberdan

gli uffici

L’intervista agli Uffici di Oberdan, continua il percorso iniziato con l’intervista a Sisma ed apre ufficialmente la mia nuova rubrica: Traffici d’idee, una rubrica che è un pretesto per parlare delle persone che incontro e per incontrane di nuove. Fino a qui si è parlato con dei musicisti, in futuro ce ne saranno degli altri ma ci sarà spazio per altre storie di individui o di gruppi di esseri umani impegnati nel ricercare qualcosa di personale. A me la scelta di cosa valga la pena di essere raccontato.

Perché parlare con gli altri, parlare degli altri di altro è parlare con se stessi di sé. A me diverte e quindi…

Intervista a GLI UFFICI DI OBERDAN

Incontro Davide Cadoni (chitarra e voce) e Pasquale Rao (Basso). Con Davide Amadio (batteria) compongono Gli uffici di Oberdan. Inizia a fare buio.

Spiegatemi il vostro nome, posso capire perché Oberdan, ma gli uffici?

Oberdan, e la sua storia, incarnano l’animo rivoluzionario e sovversivo che in fondo spinge tutti noi a cercare di eludere lo stato “non naturale” delle cose, quel fuoco che arde contro tutto ciò che ci tiene all’oscuro della verità. Si parla di rivoluzioni sociali che possono aver luogo solo dopo quelle personali. Come lui, ognuno di noi dedica la vita ad una personale e continua rivoluzione. Ogni giorno scopriamo nuove sfumature e decidiamo se esse fanno parte indelebilmente del nostro essere o se invece lasciano margine al miglioramento, permettendoci così di plasmare in meglio la sostanza densa in cui immergiamo le nostre giornate. Oberdan offre la sua vita con lo scopo di riunificare l’Italia, annettendo territori posti per altrui volontà oltre il confine. Come lui vogliamo esplorare quegli orizzonti sconosciuti che sentiamo potrebbero arricchirci, che sentiamo ci debbano appartenere. Egli diventò martire per dare vita ad un’Italia unificata, metafora del nostro tutto. Mettere in gioco la propria vita per completarci come persone, per raggiungere il proprio senso, a costo anche della morte. Gli uffici mi chiedi? Sono stanze immaginate dentro le quali ci piace pensare si preparasse la rivolta “Si suona come si vive, per scoprire, costruire e conquistare quella parte di noi che sentiamo debba in qualche modo appartenerci, per accendere la luce in quegli uffici in cui progettiamo ogni giorno le nostre rivoluzioni.”

Come vedrebbe il presente O.?

La vedrebbe male, perché l’Italia è di fatto ancora divisa, non c’è senso di fratellanza , non c’è ascolto ne dialogo tra le persone. La speranza è che la musica possa continuare ad aprire gli occhi e i cuori delle persone, annullando le distanze che portano a sentirci soli in mezzo alle nostre trincee.

parto con le domande filosofiche della redazione:

Nelle vostre canzoni si scorge il paradosso tra l’evoluzione dell’uomo attraverso lo sviluppo tecnologico e l’involuzione della sua etica: secondo voi è impossibile che tecnica ed etica possano percorrere insieme la stessa strada? Perché?

Mi dicono che la tecnica non è un male, il problema è l’utilizzo che se ne fa. Mi dicono anzi che la tecnica è meravigliosa. Anche fare un cd richiede un sapere tecnico notevole, occorre saper suonare, saperlo produrre e poi saperlo distribuire al pubblico. È il profitto che poi crea i problemi. Il profitto quando questo diventa l’unico obiettivo.

Ecco si il problema tra etica e tecnica è proprio questo. Andrebbero benissimo le due cose se puntassero entrambe ad un obiettivo giusto. Chiedo cosa vuol dire giusto? Giusto è ciò che può servire a nutrire e a perseguire il bene comune, e personale. Giusto è quel qualcosa che veramente è utile all’uomo, un’utilità che si avvicina al naturale. Alla natura animale dell’uomo, non intesa come irrazionale, o non solo, ma come stato di natura non condizionato dal contesto sociale. Quella cosa tanto ricercata da Hobbes e Locke. Si aggancia subito la seconda domanda.

2 Nella vostra canzone “Contronatura” mi hanno stupito questi due versi:

“Non cercare di andare contro natura

non cercare di andare contro quello che sai”

Cosa vuol dire per voi ‘andare contro natura’? Essere ‘secondo natura’ o meno, è, secondo voi, qualcosa che dipende dal soggetto singolo o dalla società?

I versi citati sono un gioco voluto, possono essere intesi come le parole della società, che eleva il suo giudizio a verità naturale, inattaccabile. Non andare contro natura, contro quello che sai, quindi contro quello che ti è stato detto. Allo stesso tempo queste parole possono essere un mantra da ripetersi. Un ricordarsi quello che sai dalla nascita, prima che i dogmi sociali imprigionino il tuo pensiero, quei desideri puri e quei bisogni reali che tutti possediamo.

Cerchiamo poi di definire cosa sia naturale. Ma non ci riesce alla perfezione, e siamo contenti di questo. Si ci sono dei bisogni comuni, ma non siamo omini di pongo fatti con lo stampino, il senso di questo esistere è proprio scegliere quali sono le vie che più ci piacciono, quelle che ci fanno correre senza mollare.

3- Leggendo il testo di “Perdo tempo” mi viene da pensare che ci sia paura nei confronti del tempo. Secondo voi il tempo è soggettivo, quindi è una costruzione mentale che il singolo plasma a seconda delle sue esigenze o esiste davvero un tempo oggettivo pertanto menefreghista nei confronti dell’uomo?

Preciso che tra una domanda seria e l’altra ci perdiamo in cazzate esistenziali senza capo ne coda, ma estremamente fondamentali. Ma di questo parlerò dopo.

Rispondono alla mia domanda ed ammetto che sono costretto a richiedere più volte la risposta, alla fine arrivo a capirci qualcosa. Per limiti miei ovviamente. Riassumo come posso. Il tempo oggettivo come quarta dimensione fisica lo scartiamo proprio. Non ci interessa ciò che non passa attraverso l’uomo. C’è nel tempo umano, un tempo considerato semi-oggettivo. La classica linea della vita, che ci dovrebbe spiegare quando è il momento di fare cosa. Ma agli Uffici non piace avere obblighi e preferiscono cancellare le tacche da questo metro. Perché? Perché anche questo tempo è un’invenzione. Si finge oggettivo quando in realtà è una costruzione altrui. La risposta è: “non è che non esita proprio, ma chissenefrega!”. La soluzione non è misurare il tempo. È caricarlo di valore. Quando una vita è ben spesa anche l’angoscia del tempo sparisce. I Baustelle dicono: “credi di morire, non è niente se l’angoscia se ne va”.  Pasquale mi racconta di come sia cambiata la sua vita da quando suona: “Prima tornavo a casa da lavoro, guardavo la tv, andavo a letto e poi di nuovo a lavoro. Adesso ci troviamo a suonare. Creiamo qualcosa di nostro. Sono sempre stanco morto. Ma sono felice.” E mi dice anche che ogni cosa dovrebbe essere fatta come fosse l’ultima volta. Non credere a quello che si fa. Quello è perdere tempo! E non, come si sentono dire tutti quelli che fanno qualcosa che gli piace: fai qualcosa di utile, fai qualcosa che serva, non fare il perdi tempo.

E ci troviamo a perdere tempo a chiacchierare, a scoprirci, a scrivere articoli, a scrivere poesie, ad ascoltare musica buona e schifosa. A fare progetti che magari non fanno successo. Ma come mi dicono Gli Uffici di Oberdan, l’importante è non voltarsi indietro e vedere una vita di rimpianti, l’importante è averci provato.

Ok prima vi parlavo di tutte quelle altre cose non propriamente attinenti alle domande, provo a raccontarle unendole alle sensazioni dell’ascolto del loro disco:

Parte svarione, solo per chi ha tempo da guadagnare.

Ascolto gli Uffici di Oberdan su Spotify, quello per computer che quello sul telefono fa schifo. La velocità degli anni “perché il tempo ci sfugge ma il segno del tempo rimane[1]”. E con il passare del tempo, nei miei attimi recenti, la gente scema mi pare sempre meno interessante e mi trovo ad essere meglio di loro senza presunzione. Ok uno due tre, schiaccio play:

“Puntiamo solo a salire, puntiamo solo ad impazzire” puntiamo pesante  sui nostri sogni, puntiamo a scendere dal letto con felicità. Che poi è donna e quindi per averla non va rincorsa.  Ma stiamo parlando di rivoluzione e di bombe in tasca. “pronte ad esplodereee” e forse bastano due bombe in tasca come coperta di Linus per fare la rivoluzione, Oberdan non si nasce si diventa, si diventa morendo, ma vabbè.

“ Non cercare di andare contro quello che sai” “la chiave della felicità è la disobbedienza in sé a quello che non c’è[2]”. Non cercare di imparare dagli altri quello che non sai, meglio stare incompleti che vivere altre vite “so che hai sogni non tuoi”. Cosa vuol dire contro natura  chiedo agli Uffici? contro natura gioca sulla natura naturale e su quel che ti dicono sia naturale. Ma cos’è naturale? “com’è spoglia la città da quando soffre solo il freddo”, naturale è ciò che appartiene all’animale umano, il naturale ce l’hai nel sangue, non è naturale l’imposizione della società che crea bisogni indotti intrappolando l’individuo. a casa mia si parla di mangiare e di proteggersi da varie cose: dal disordine, da futuro, da stare da soli, da far soffrire gli altri e dal non farli soffrire proprio. Proteggersi è naturale, ma imprigionarsi non lo è. Per gli Oberdan è una ricerca non finita, il loro album è un invito a ricercare la propria via, nel rispetto degli altri, della bellezza naturale e di quella umana. È un tentativo di slegare le catene ai tizi nella caverna, consapevoli che i molti se ne resteranno comodi al buio, ma qualcuno uscirà alla luce. “sarebbe stato più semplice non aver mai aperto gli occhi, sarebbe stato più facile, non averli chiusi mai”

Dopo averli intervistati è più chiaro questo cd, dovrebbe essere obbligatorio ed illegale un colloquio con l’artista. Continuiamo parlando della comunicazione, degli effetti di parlare solo di sesso e violenza

Venerdì sono andato a vedere Jovanotti. Che gioca al rock n’ roll. Anche Ligabue dice qualcosa di simile, aspetta come dice? Apro Youtube e trovo questo: Andrea comunica il suo suicidio con un video, poco dopo si toglie la vita. E forse gli Oberdan avevano ragione, tira più un morto ammazzato che un carro di buoi. Sulla fica non saprei.

“Mi vedi bene; mi vedi bene; mi vedi bene; mi vedi bene ma io — non ci riesco!!” e subito penso alle ragazze e dimentico Andrea “Andrea si è perso, ma non sa tornare, Andrea ha in bocca un dolore, la perla più scura[3]”. Ha ragione Andrea, che i miei articoli vanno letti cagando. E mi rende felice avere un posto nel mondo, un posto di pace e meditazione. “Che bello che era averti attorno/ come aver trovato un posto al mondo/ dove alla fine fare ritorno/ quando non c’è un posto dove andare[4]” “Non essere noioso Non sentirmi più solo/ Stare bene così/ Senza un posto nel mondo[5]

In sostanza se non srotolo una morale, se non estraggo pathos dal concetto dell’album, vuol dire che  PERDO TEMPO? Di questo parliamo al secondo spritz metà Aperol e metà Campari, di quello che ti dicono, del non naturale che diventa fondamentale, ti dicono che se non si fanno le cose come vanno fatte, si perde tempo. Se non si fanno le cose che vanno fatte si perde tempo. E così il tempo non si vince mai, si asseconda. E il tempo poi vince sempre sulla lunghezza, si può batterlo solo in intensità. E gli Oberdan mi dicono: meglio bruciare rapidi e intensamente piuttosto che spegnersi lentamente senza aver mai prodotto alcun calore. “Non tutto quel che brucia si consuma” “e lo ripeto ancora, fino a impararlo a memoria, finché siamo qui, noi siamo gli immortali[i].”

Finisco l’intervista, ci penso qualche giorno, che la vita non è facile, la vita non è male se scegli come spenderti, scegliere da gusto all’esperienza, dà peso all’esistenza.  E la scelta viene dal desiderio e dalla ragione, la scelta è l’espressione dell’individuo. E che parlare con la gente è sempre una scusa per scoprirsi

parlare di qualcuno

È parlare di tutto il resto

dei pochi sconosciuti

tra i sette miliardi

e dei soliti sette gatti

 

cose dalle cose.

parlare del tale, dell’ernia iatale

sempre parlare di tutto

il resto

lasciare o non lasciare il resto di mancia

lasciare o lasciare una manciata di affetto

in prestito, in franchising

la propria personalità, francamente

Franca, dovresti smetterla di essere così brava

 

parlando di qualcuno

parlare di tutto il resto

e dei pochi sconosciuti

tra i sette miliardi

tra i soliti sette gatti

che ci si sente sparlati

ed è fastidioso non sentirsi nominati.

e non posso fare a meno di infastidire

di infastidirmi, di evitare

di essere schiacciato, di schiantarmi sul gelato

E di scegliere sopra quale merda ronzare

di proclamare la mia indifferenza

nell’attesa della tua venuta.

Bzzz

amen

 

Gianluca Cappellazzo

 

[1]Baustelle, Le rane

[2]Afterhours, Quello che non c’è

[3]Fabrizio De André, Andrea

[4]Ministri, Comunque

[5]Marracash, Senza un posto nel mondo

[i]Jovanotti, Mezzogiorno. Jovanotti, gli immortali.

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