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Dagli incisi non si scappa, parola del pigro

Avete ragione, devo ammetterlo, le migrazioni che coinvolsero i nostri antenati conterranei non hanno niente a che vedere con questa massa zingara – anche gli zingari adesso?! – e indisciplinata che oggi si accinge a bussare – magari bussare!! –  la porta del nostro giardino; un’oasi così ordinata e pacifica che rischia in un prossimo futuro di essere calpestata e di vedersi assediata da quei fastidiosi bivacchi nauseabondi – non è proprio da cristiani starsene così come pezzenti, questi svergognati che chiedono l’elemosina con un mano e con l’altra tengono uno smartphone – che infestano con il loro miasma contagioso la nostra aria. In attesa che l’ultimo sistema matematico e scientificamente ineccepibile, gli hotspot, sia applicato in modo tale da poter “esternalizzare”, un termine utilizzato dal giornalista squinternato Luca Rastello nel suo pseudo libro d’inchiesta La frontiera addosso, questa mandria di barbari pronta a rubarci il lavoro, gli uomini – le donne dell’est mietono innumerevoli vittime dicono – ed a stuprarci le donne – quello dello stupro ce l’hanno proprio di razza –; occorre trovare un metodo per fermare un’altra tipologia di flusso migratorio – un altro, ma basta!!! 30 euro al giorno anche per questi? -, ben più sordida e vigliacca: la migrazione delle parole scritte!

Pare che queste siano difficili da scovare perché non si possono intercettare in quanto non seguono la consueta linea telefonica. Sono a tutti gli effetti dei soggetti invisibili, clandestini – soggetti?! Le parole!? Anche loro clandestine? – da individuare. Come fare vi chiederete, voi che state negli incisi – si, si proprio noi –; beh un antecedente storico ci sarebbe. Nella prima metà del secolo scorso frasi estrapolate da missive come Dimmi mamma! che vita è la mia?? Il destino mi ha separato da tutti i miei cari, tengo per unico amico la solitudine, e con essa tanti giorni tristi”, scritte di proprio pugno dai molti nostri connazionali emigrati – eh si, eravamo sempre povere vittime dei soprusi altrui –, rappresentavano un vero e proprio pericolo – no, aspetta, gli emigrati italiani un pericolo? Ti ripeto che, nonostante il nostro virtuosismo, ci lasciavano morire di fame – per la società perché svelavano una certa soggettività, abbastanza radicata devo ammettere, capace di sconfessare quello che ogni giorno i giornali scrivevano sul loro conto, appunto sui migranti – ma avrà avuto le proprie ragioni, l’italiano intendo, a lamentarsi, non credi? –.  Alcune cose,  per questo motivo, è meglio che non fuoriescano poiché delegittimerebbero alcune strategie volte ad esautorarli della propria identità – non bisogna occultare la verità, riconsegniamo l’onore che gli spetta -.

Ad esempio, solitamente gli immigrati che ci vendono quelle fastidiose cianfrusaglie ai lati della strada li consideriamo stupidi, per il lavoro che fanno, o ignoranti, per quell’accento stonato e infantile che imprimono alla nostra lingua, o ancora pericolosi, per le malattie che ci portano e per le cinture piene di bombe che indossano – eh infatti, chi ci dice che non si intrufolino anche i terroristi nei barconi?-. Ci siamo mai posti il problema che le nostre considerazioni possano essere errate? Abbiamo mai avuto un dubbio che le loro differenze non siano di natura oppositiva rispetto al nostro stile di vita ? Beh, un tentennamento, una tentazione in questo senso l’ho provata proprio davanti a queste parole –  perché? di chi sono? Un altro nostro emigrato? – : “Tanto ho navigato, notte e giorno, sulla barca del tuo amore che o riuscirò in fine ad amarti o morirò annegato. Giardiniere, apri la porta del giardino; io non sono un ladro di fiori, io stesso mi son fatto rosa, non vado in cerca di un fiore qualsiasi”.

Sono versi di un giovane afgano che potrebbero evidenziare una qualche forma di sensibilità e raccontare di una situazione disperata –  bah, ma quale disperazione! Molti di loro sono anche migranti economici, lo dicono gli esperti – dove la vita e la morte sono separate da una porta. Ecco, se queste parole, come le tante testimonianze naufragate nel mediterraneo, venissero a galla, forse il barbuto musulmano col turbante al lato della strada assumerebbe un’altra dimensione, più completa. Forse –  Non credo proprio, è palese che siano degli incivili. Lo confermano anche le nostre nonne e i nostri amici che questi occupano i marciapiedi, puzzano e nel caso avessero una casa, questa subito la lascerebbero marcire con i loro riti medievali. Sono animali! –. In ogni caso, teniamole nascoste e blocchiamole alla frontiera queste parole, anche se le vostre risposte, voi signori degli incisi, mi fanno capire che tenete già idee chiare, salde e giuste. Non cambiatele. Rilassatevi. Tanto come dite voi, carissimi abitanti degli incisi, sono animali, punto e basta.

 

Non c’è verso insomma, con la pigrizia bisogna sempre farci i conti sul terreno dell’informazione. Buona dormita a tutti.

Ringrazio Giovanni Stella, un emigrato schedato originario di Treviso giunto in Argentina nel 1926, e Zaher Rezai, un tredicenne afgano che nel 2008 morì sotto le ruote di un camion nei pressi di Mestre, per le loro parole senza documento.

Fonti:

  • Archivio Centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 4950, fasc. Giovanni Stella.
  • Per quanto riguarda Zaher Rezai, vari articoli consultabili on-line.
Marco Donadon
[Immagine tratta da google immagini]

 

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