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Io, corpo mostruoso. Perfezione e grottesco nell’arte e nella vita

Per anni mi sono sentita, e a tratti continuo a sentirmi, un corpo mostruoso.

Osservando le modelle, le pubblicità più o meno patinate e i film americani non posso far altro che sentirmi così, piccola e mostruosa in un mondo di gente perfetta. In passato ci pensava l’arte a proporci modelli di perfezione inarrivabile: dal canone policleteo alle Madonne medievali e poi le vergini rinascimentali, passando per le donne formose di Rubens e per contro poi il corpo snello Art Déco. Ma la cosa peggiore è che oggi la bellezza viene sbandierata come il frutto di un duro lavoro: “A lovely girl is an accident; a beautiful woman is an achievement” è lo slogan che Vogue ha lanciato addirittura negli anni Trenta e che ancora oggi ci annichilisce. Se non sei bello, insomma, è colpa tua e della tua pigrizia. Non puoi nemmeno mettertela via.

 

Si diventa un ibrido. Che però è anch’esso mostro. E si torna al punto di partenza.

orlan_la-chiave-di-sophiaÈ evidente che se la società ha da sempre ricercato la perfezione, come conseguenza ha anche da sempre scacciato i cosiddetti mostri, i “freaks”, gli altri-da-sé. Lo racconta già Mary Shelley quando scrive Frankenstein nel 1816: ciò che è diverso da noi è brutto e ci fa paura; per questo lottiamo così strenuamente per scacciarlo (a volte anche solo inconsapevolmente). Alterità e bruttezza vanno di pari passo e la loro conseguenza è la paura. Secondo il semiologo Jurij Lotman, infatti, l’Altro è ciò che irrompe negli schemi del consueto e che si colloca al di fuori delle funzioni chiare e consolidate, “costringendo” ogni società culturale a creare un proprio sistema di marginali. Eppure, quasi paradossalmente, sarebbe proprio questa interruzione degli schemi e della consuetudine a trasformare il nostro modello di appartenenza, a metterlo in moto, a renderlo dinamico. Il mostro, l’ibrido, l’Altro, avrebbe dunque una valenza del tutto positiva1, ci renderebbe in qualche modo migliori.

Un pensiero consolante.

Del resto, il nostro mondo è completamente multiforme, un’accozzaglia di aspetti, suoni, menti, ondate e risucchi di opinioni e di forme. Inutile uniformare, ancora più inutile uniformare sotto l’egida della perfezione. Un mondo incasinato, poi, non può che ispirare un’arte incasinata: ed ecco allora che la forma artistica sbriglia totalmente la fantasia sui corpi, nasce un groviglio di alterità e deformità esagerate che riempie l’arte. Il grottesco, da sempre resistito nella storia dell’arte, trovando espressione in meno note opere di artisti come Dürer e Raffaello e attraversando il Rococò, ha raggiunto anche le stampe di Odile Redon. Nel grottesco dell’arte oggi si superano i limiti della sessualità, si scardinano gli ideali di bellezza, mutano e si ridefiniscono le dinamiche di appartenenza, perché secondo il filosofo russo Michail Bachtin «il corpo grottesco è un corpo in divenire. Non è mai dato né definito: si costruisce e si crea continuamente, ed è esso che costruisce e crea un altro corpo»2.

jenny-saville_la-chiave-di-sophiaLe figure visionarie del Cremaster Cycle di Matthew Barney, le mutazioni genetiche di Patrizia Piccinini tra animale e umano, i corpi deformi di Jenny Saville, le creature di Karin Andersen, i personaggi silenziosi di Korzhev, ma anche i corpi menomati di Marc Quinn e i volti non-volti di Francis Bacon, che anelano a rivelare qualcosa che sembrava non potesse essere detto. Adesso si può dire tutto: tormento, esclusione e dolore possono essere espressi e possono diventare protagonisti di uno slancio di forza e di speranza, di accettazione.

Cerco allora di osservare questi corpi grotteschi dell’arte, di arrivare alla loro dignità espressa, all’essenza che emerge dall’apparenza, e tento di vedere in essi la mia immagine. L’immagine di chiunque si guardi e si veda sbagliato nel mondo dei perfetti. Penso che è nei mostri che pulsa la vita, che si nasconde la vera bellezza, che è insito il senso del nostro esistere. E che quindi forse, ma solo forse, sono quei corpi perfetti a essere profondamente imperfetti e che è nel “normale” a nascondersi ciò che dobbiamo tentare di evitare.

 

Giorgia Favero

NOTE
1 J. Lotman, La caccia alle streghe. Semiotica della paura, in Incidenti ed esplosioni, Aracne Editrice, 2010
2 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare

[Immagine di copertina: un famoso frame dal Cremaster Cycle di Matthew Barney;
prima immagine interno articolo: l’artista Orlan (da notare le protesi sulle tempie);
seconda immagine interno articolo: opera di Jenny Saville.
Tutte le immagini sono tratte da Google Immagini]

 

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Giorgia Favero

plant lover, ambientalista, perennemente insoddisfatta

Vivo in provincia di Treviso insieme alle mie bellissime piante e mi nutro quotidianamente di ecologia, disillusioni e musical. Sono una pubblicista iscritta all’albo dei giornalisti del Veneto, lavoro nell’ambito dell’editoria e della comunicazione digitale tra social media management e ufficio stampa. Mi sono formata al Politecnico di Milano e all’Università Ca’ Foscari Venezia in […]

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