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Vite diverse – Vite uguali

 

“Immigrato clandestino
Soggiornante di lungo periodo
Rifugiato politico
G.S.
Semplicemente G.
Vivevo in una zona rurale del Kosovo, distese di campi ed il solo suono che si udiva per tutto il giorno era il campanaccio delle mucche al pascolo. Non si andava a scuola, si lavoravano i campi, se invece nascevi donna allora ti toccavano le faccende di casa. La mattina a svegliarci era l’alba e anche quel giorno, uscito dal portone di casa affianco a mio padre, potevo sentire il richiamo del gallo che rammentava a tutti l’inizio del nuovo giorno. Parcheggiata poco lontano dalla fine della nostra proprietà quel giorno c’era un’auto grigia, seduti all’interno due uomini, non erano della zona, a tradirli i vestiti troppo curati e la parlata poco fluida. Uno dei due scese, puntò un fucile dritto al petto di papà: voleva il denaro per lo stato serbo. Papà era uno di quegli uomini che, anche se si fosse trovato sulla cima di un vulcano in eruzione, era in grado di mantenere la calma; così mi portò dietro alle sue gambe, mi coprì gli occhi con le sue forti mani e con voce ferma rispose: “il governo serbo non avrà il denaro con cui ho da sfamare i miei figli”. Immediata fu la risposta dell’individuo in giacca e cravatta di fronte a noi: due spari, due rumori assordanti che penetrarono nelle mie orecchie e mi impedirono persino di pensare. Quando riaprii gli occhi papà era seduto davanti a me con la schiena poggiata al cancello, mamma accorreva dalla casa, e lui col poco di fiato che aveva ancora in gola mi sussurrò delle parole. Incredibile come ricordi ogni singolo dettaglio di quel giorno ma non sia mai riuscito a ritrovare nella mia memoria quelle parole.”

G.S. prima di essere l’immigrato di cui leggiamo notizia nel quotidiano locale, prima di essere l’extracomunitario a cui si rivolgono sprezzanti certi ideologi è un essere umano come tutti noi. Spesso ce ne dimentichiamo, fuorviati dal colore della sua pelle, dal suo modo di vestire e dal suo italiano imperfetto e lo escludiamo. Lo confiniamo al di là di quelle mura che abbiamo eretto per proteggerci e quando la paura diventa troppo grande gli facciamo la guerra. La paura è il tratto distintivo dell’uomo, soprattutto al giorno d’oggi dove si trova a vivere in un mondo agitato da forze molto più grandi di lui, di cui non capisce la direzione e da cui non ha modo di difendersi. L’estraneo, Il diverso che bussa alla porta perchè attanagliato dalle nostre stesse paure, viene guardato con sospetto e a volte ritenuto la causa di quelle paure, immolato a capro espiatorio dell’umanità. L’uomo che intraprende la stada del duello, del conflitto oppure dell’isolamento ha perso, rivela la sua incapacità di intendersi, di immedesimarsi con l’altro e perde la possibilità di quello che Levinas chiama “l’evento fondamentale”: l’incontro. E’ solo grazie all’incontro che il mio io riceve un senso, solo grazie allo sguardo altrui io posso esistere, “so che sono perchè so che c’è l’altro” Tischner. Laltro è parte imprescindibile del mio Io, tassello mancante della mia identità e farmi raccontare la sua storia mi aiuta ad abbattere le mura di carta che i nostri antenati hanno costruito con l’intenzione di proteggerci, ma con il risultato di renderci manchevoli. Nella storia di G.S. Percepisco le mie sensazioni, le mie emozioni, lo avvicino a me tanto basta da perdere la linea di demarcazione tra io e tu, e mi rendo conto di cosa perde l’umanità confinando in un’immagine stereotipata l’altro invece di ascoltarlo: se stessa.

Valentina Colzera

[Immagini tratte da Google Immagini]

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