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primo piano del protagonista del film arancia meccanica con cilindro e ciglia lunghe su occhio destro

Alex De Large ossia l’uomo roussoniano prima dei vincoli imposti dalla società

Spesso ci si interroga sull’origine delle leggi, se esse siano effettivamente efficaci e sul perché bisogni sottoporvisi. Ne discusse Platone sino ad arrivare a Rousseau e tuttora il dibattito è aperto. Oggi di fronte alla attuale situazione sociale ci si chiede come uno Stato dovrebbe comportarsi o perché un cittadino debba sottopormi a leggi anche quando sembrano minare la mia libertà e la mia possibilità di scelta. Difficile poter dare una risposta date le variabili infinite che si possono considerare.

Le leggi per Platone ne La Repubblica sembrano essere necessarie per il benessere dello Stato e per evitare che esso collassi sotto rivolte e repressioni. L’accento non è ancora posto sul singolo cittadino, ma il singolo è preso in analisi all’interno della società di cui fa parte. Con Rousseau chi viene messo al centro della discussione è l’uomo, il singolo cittadino. Nel Discorso sull’Ineguaglianza Rousseau descrive il momento storico in cui il singolo viene strappato dal suo Stato di natura e gli vengono imposti dei vincoli. La domanda sorge spontanea: l’uomo ha una natura buona se riesce a vivere nello Stato di natura senza autodistruggersi e distruggere gli altri?

Il romanzo di Anthony Burgess, Arancia Meccanica, e il successivo adattamento cinematografico diretto da Stanley Kubrick ci mostrano che l’uomo non è per natura buono, ma che, al contrario, ha bisogno di leggi che lo limitino. Allo stesso tempo è efficacemente dimostrato dalla sorte del protagonista quanto sia fondamentale per ogni uomo continuare ad avere la possibilità di scegliere. La scelta implica un’azione e l’agire dell’uomo deve essere guidato da leggi di riferimento dal momento che l’uomo ha degli istinti naturali di sopraffazione. L’uomo, quindi, può essere libero di agire solo all’interno del sistema di leggi a cui sceglie di sottoporsi.

Alex De Large vive in una Londra distopica dove si è affermato un governo violento e si è declinata conseguenzialmente una società che lo rispecchia. Regna il caos sin dalla prima inquadratura. Alex rappresenta l’uomo nel suo stato naturale, lo stato in cui verserebbe se la società non gli avesse imposto dei processi civilizzanti; compie atti violenti e non sa porre freno ai suoi impulsi. Venendo imprigionato per uno dei suoi crimini si assiste, attraverso un primo piano spiazzante, ad un Alex costretto alla conversione: viene, infatti, costretto a leggere i Testi Sacri. Emblematicamente Alex viene fatto venire a contatto con la religione la quale, simbolicamente, dovrebbe rendere sudditi di una legge eterna gli uomini. Il nodo cruciale è che il protagonista, solo attraverso torture immani sia psicologiche che fisiche, viene addomesticato ad odiare la violenza: non cambia la sua natura, semplicemente attraverso il terrore del dolore che potrebbe provocargli il commettere atti violenti preferisce non agire. Alex non ha possibilità di scelta. Il suo è uno sguardo vuoto e davanti ad esso dovremmo rabbrividire, ma siamo portati a simpatizzare nei suoi confronti. Alex è un monito: è l’immagine di ogni uomo.

Kubrick nella scena finale ci pone dinanzi un dilemma: l’omologazione e la privazione della scelta attraverso atti violenti da parte dello Stato possono essere una via d’uscita per abolire la disubbidienza civile? La risposta la si ha nell’ultima scena: Alex riprende lo sguardo dell’inquadratura iniziale del film: neanche la tortura è riuscita a cambiare l’indole umana. L’indole umana solo attraverso leggi può essere civilizzata e la civilizzazione non deve creare una società di arance meccaniche, ma dei cittadini consapevoli; terrore e sopraffazione creano automi, uomini privi di umanità.

Il capolavoro di Kubrick trova il suo punto di forza nella geniale sceneggiatura, scritta dall’autore dell’omonimo romanzo, e nella scelta delle inquadrature: la gran parte sono puntate sugli occhi dei protagonisti specchio della loro impersonalità che è il prodotto di una società che li ha creati non educati.Questo pezzo di storia del cinema è il nostro specchio, posti dinanzi al nostro riflesso dobbiamo chiederci: è questo ciò che potremmo diventare? Le risposte sono molteplici e si devono cercare senz’altro alternative che ci portino a rivalutare e soprattutto a riflettere su ciò che vogliamo essere.

 

Francesca Peluso

 

[In copertina un fotogramma del film Arancia meccanica]

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Francesca Peluso

Francesca Peluso

Curiosa, empatica, determinata

Sono Francesca Peluso, attualmente vivo a Firenze e lavoro nell’ambito HR come recruiter, sono laureata in filosofia morale all’Università di Pisa e ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. La scrittura per me è una continua scoperta e rappresenta lo strumento con cui capisco il mondo e riesco a vederlo criticamente. Amo il […]

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