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Il valore come mezzo oltre che misura dello scambio

Gli eclatanti, problematici sviluppi degli ultimi anni, verificatisi in ambito economico, sociale, ambientale e politico, ci inducono ormai a percepire la condizione di crisi come elemento strutturale del nostro vivere individuale e collettivo.

Se, alla luce di emergenze come i cambiamenti climatici, alcuni si spingono a richiamare la necessità di mutare i nostri paradigmi economici (è il caso del movimento Fridays For Future), ben più consolidato è il riferimento alla “sostenibilità”, intesa come principio guida che consente di non superare i limiti posti dal rispetto dell’ambiente e dall’esigenza di coesione sociale. Tuttavia, rischia di rivelarsi illusoria l’idea di poter mantenere in equilibrio un sistema di cui si ignorano o danno per scontati alcuni presupposti, fra cui il predominio dell’economia sulla politica, o la non praticabilità di soluzioni terze rispetto alle tecnocrazie e ai populismi.

In un contesto in cui si forniscono incentivi monetari a compiere scelte come inquinare di meno – o si sanzionano comportamenti di segno opposto – è illuminante rileggere le riflessioni di Georg Simmel (1858-1918), relative al modo in cui il denaro strumentalizza tutti i fini e i valori, divenendo esso stesso il solo tangibile punto di riferimento delle nostre relazioni sociali. E, per riprendere una distinzione kantiana, sarebbe almeno onesto chiarire che la nostra civiltà vive esclusivamente di imperativi ipotetici, condizionati dagli scopi delle proprie azioni, emarginando gli imperativi categorici capaci di esprimere la propria autonomia morale.

In nome dell’anarchica, consistente nello scegliere i mezzi più conformi a mutevoli e soggettivi fini, non si concepisce neppure la possibilità di una individualità che, orientandosi a principi di fondo, a narrative trasversali ai ruoli sociali e alle biografie, si possa elevare al di sopra di interessi contingenti. Un’ottica dell’autonomia favorirebbe d’altra parte la definizione di una volontà generale (per dirla con Rousseau), o almeno di una concezione non strumentale di giustizia, quale quella suggerita da John Rawls. Rousseau, infatti, evidenziò ne Il contratto Sociale (1762) come la volontà generale è orientata al bene comune, mentre la volontà di tutti non è che una somma di volontà particolari. Rawls ha proposto nello scorso secolo che i principi di giustizia vengano scelti dietro un velo di ignoranza, ovvero non basandosi sugli specifici ruoli che si rivestiranno nella società. Anche tale ottica rimanda, peraltro richiamandosi all’ideale kantiano, al trascendimento delle convenienze contingenti.

Il mercato e le transazioni economiche possono ancora essere dotati di una dimensione etica, finalizzata a una nozione di bene comune. La mercificazione dominante non deriva principalmente dal libero scambio tra attori consenzienti, ma dall’assenza di mezzi di scambio connotati in senso valoriale, con la conseguente impossibilità di interpretare la transazione economica come un atto che vada oltre la soddisfazione di esigenze private e l’istante del pagamento, della cessione di denaro.

Si potrebbe immaginare la definizione per legge di indicatori volti a connotare determinate azioni come rilevanti in base a principi come l’ambientalismo (ad esempio una certa riduzione delle emissioni inquinanti da parte delle imprese) e la giustizia sociale (ad esempio la riduzione della dispersione salariale nelle imprese e della disuguaglianza nella distribuzione del reddito, nell’ambito delle regioni). Una piattaforma potrebbe consentire a individui, imprese e comunità locali di scambiare documenti, ciascuno dei quali, riferito a un determinato valore morale, organizzativo o culturale, elencherebbe i benefici, ad esempio reputazionali, sperimentati in passato adottando una o più iniziative in linea con i detti indicatori (cfr. M. Senatore, Scambiare autonomia, 2013).

Tali documenti potrebbero essere ceduti in cambio di beni e servizi, e fungerebbero pertanto da mezzo di pagamento, ma non sarebbero scambiabili con denaro. D’altra parte, essi avrebbero un controvalore monetario, precisamente per poter essere scambiati con merci. Tale controvalore, o prezzo, sarebbe funzione sia del numero di esperienze contenute in ciascun documento, sia della domanda e offerta di tutte le esperienze sul mercato, collegate al valore cui il documento si riferisce. Il livello iniziale del prezzo delle esperienze sarebbe commisurato al costo medio da sostenere per conformarsi agli indicatori rilevanti. Prezzare i documenti fornirebbe un incentivo a partecipare agli scambi: la possibilità di cedere ognuno di essi a un controvalore monetario superiore a quello di acquisto, come risultato da un lato dell’aggiunta di nuove esperienze, dall’altro dello scegliere un valore destinato a divenire più rilevante per i partecipanti al mercato.

Determinare un “valore dei valori”, senza la mediazione del denaro, consentirebbe di interpretare gli scambi economici non come un momento necessario esclusivamente per confermare il proprio ruolo sociale, nel nome di un’efficienza puramente quantitativa, ma anche come un’occasione per modificare tale ruolo e, nel far ciò, contribuire a una deliberazione pubblica sul bene comune.

 

Marco Senatore

Marco Senatore (Genova, 1975) è un dipendente pubblico impegnato nel contesto della governance economica dell’Unione europea. Dopo la laurea in Scienze Politiche all’Università La Sapienza di Roma, ha approfondito la propria formazione negli ambiti dei mercati finanziari e del commercio internazionale. Ha inoltre avviato un progetto individuale di indagine orientato al dialogo tra economia ed etica. Esprime le proprie esigenze creative tramite la poesia, la narrativa, la fotografia, la musica, e ha da alcuni anni intrapreso una più profonda ricerca spirituale.

[Photo credit Alexander Mils via Unsplash]

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