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Tutti dicono guerra… ma non la GenZ

C’è chi posta un video su cosa mettere nella borsetta per sopravvivere settantadue ore (come la commissaria europea per la gestione della crisi Hadja Lahbib) e chi lavora ad un piano per il riarmo (il ReArm Europe, approvato dal governo italiano in data 10 aprile). Altri cambiano la costituzione del proprio paese (Germania), per alzare il debito pubblico della spesa militare e reintrodurre la leva obbligatoria. Aleggia tutt’intorno a noi una narrazione bellica incessante, sostenuta dall’utilizzo massiccio di termini militari nei mezzi di comunicazione, che sembra portare l’immaginario collettivo ad una rassegnata accettazione dell’ipotesi “guerra”.

Ma siamo sicuri che tutti siano confluenti verso questa idea? Siamo sicuri che se anche aumentasse la produzione di armi e mezzi bellici con il piano di riarmo, ci sarà poi qualcuno veramente disposto ad usarli? 

Ole Nymoen, giornalista ventisettenne tedesco, sta facendo discutere per aver pubblicato un libro dal titolo: Perché non combatterei mai per il mio paese (Warum ich niemals für mein Land kämpfen würde, Rowolth, Berlino 2025). Il libro è un appello contro l’azione militare a tutti i costi ed espone posizioni molto concrete e distanti da un pacifismo ingenuo o irrealistico. Inoltre, si nega l’affermazione per cui gli interessi di sicurezza di uno stato coincidano ancora con quelli dei suoi cittadini, dimostrando che per decenni il neoliberismo ha impoverito ampie fasce di popolazione, rendendole meno solidali le uno verso le altre

Gallup International, istituto statunitense per le ricerche statistiche e l’analisi dell’opinione pubblica, giusto un anno fa pubblicava una ricerca condotta in 45 Paesi del mondo per capire chi tra la popolazione maggiorenne fosse disposto a combattere per la propria patria. I risultati sono ovviamente molto diversi a seconda dell’area geografica di riferimento: si va dal 32% dei cittadini europei favorevoli, al 41% negli USA, al 77% dell’Asia Occidentale o al 73% del Medio Oriente. Osservando nello specifico il nostro paese, si scopre che l’Italia è all’ultimo posto in Europa con il 14% di favorevoli e penultima al mondo, davanti solo al Giappone che conta un 9% di disponibilità. Le conclusioni di Kancho Stoychev, presidente del GIA, sono chiare: «Le élite in Occidente potrebbero anche essere inclini a risolvere i problemi sostenendo una guerra, ma i cittadini occidentali sono due volte meno inclini a imbracciare le armi, rispetto ai cittadini del resto del mondo»1.

Il libro di Nymoen viene già considerato portavoce del pensiero della Generazione Z, quella nata tra il 1996 e il 2012, ovvero quando “Giochi senza frontiere” andava ancora in onda, l’Euro era già realtà, e il programma di studi Erasmus una possibilità che interessava decine di migliaia di studenti ogni anno. Si percepisce quindi la forte discrepanza, quasi uno scollamento, tra chi è al comando in questo momento (tutti appartenenti ad un’altra generazione rispetto a quella di Nymoen) e i giovani cittadini portatori di una cultura e di una visione del mondo che, da quando ne fanno parte, è senza confini, liquido, datore di opportunità ed esperienze personali e professionali, che niente hanno a che fare con la difesa delle frontiere, il patriottismo armato e il nazionalismo. In termini filosofici e culturali, infatti, si potrebbe dire che il patriottismo, così come lo intende la Gen Z, non ha davvero nulla a che vedere con il nazionalismo: dove l’uno indica il riferimento a dei valori comuni condivisi, l’altro pretende di imporre un’identità e una visione del mondo, anche con l’uso della forza e isolandosi dal resto del mondo2

La Gen Z sembra invece ridare voce alle parole di Jürgen Habermas, quando ipotizza il patriottismo costituzionale (Verfassungspatriotismus), ovvero un patriottismo fondato sulla lealtà ai principi universalistici della libertà e della democrazia, che riconosce la piena legittimità e dignità morale di diversi stili di vita e l’esistenza di diverse culture all’interno della repubblica e porta «al passaggio da una nazione di popolo, alla nazione di cittadini, grazie allo sviluppo di un comune riconoscimento nella costituzione» (M. Ampola, L. Corchia, Dialogo su Jurgen Habermas, ETS, Pisa 2007, p. 263). La Generazione Z, seppur non disposta ad abbracciare le armi, sembra comunque consapevole del rischio di una guerra: «Ma chi ha detto che serva davvero un fucile per far fronte ad una guerra lontana? Forse più che una mimetica, servirebbe una tuta della protezione civile» afferma Umberto Cascone, giornalista classe 2000, nel suo articolo La Generazione Z e la guerra, confermando così che i “Centennialssono disposti a mettersi in gioco per la propria comunità, ma senza dover compiere atti di forza contro qualcuno.

 

NOTE
1. Cfr. la ricerca del Gallup International qui.
2. Si veda per esempio https://www.lachiavedisophia.com/lintreccio-tra-dinamiche-interne-e-rappresentazioni-esterne/.
[Photo credit Kevin Schmid via Unsplash.com]

Laura Cappellazzo

Laura Cappellazzo

Curiosa, irrequieta, irrimediabilmente naïf

Sono Laura Cappellazzo e dopo vari giri per il mondo, ho messo radici a Oderzo con la mia famiglia: un marito, quattro figli, una tartaruga e un gatto. Sono laureata in Scienze dell’Educazione, diplomata in Counselling sistemico, ho un Master in Relazioni interculturali e Gestione dei conflitti. Ho lavorato come educatrice con minori e donne in situazioni […]

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