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“Tlön, Uqbar, Orbis Tertius”: Borges e l’apocalisse concettuale

Jorge Luis Borges fu un uomo che visse di libri. Dapprima catalogatore presso una biblioteca municipale, divenne poi direttore della Biblioteca Nazionale Argentina, professore di letteratura inglese all’Università di Buenos Aires e presidente dell’Associazione degli Scrittori Argentini. Era un uomo dalla cultura stratosferica. Viveva in migliaia di mondi diversi e conosceva bene lo smarrimento provocato dalla lettura. Ma lui, di questa vertigine, fece materia per le sue opere.

Il suo tema è lo sdoppiamento, il riflesso, l’incursione del fantastico nel reale. Famose sono le sue biografie inventate e le recensioni di testi immaginari. Quasi sempre gli scritti di Borges mostrano quanto labile sia la distinzione tra realtà e finzione e tendono a ricostruire il mondo. Noi temiamo di leggere questi scritti perché hanno il potere di rovesciarci, di confondere certezza e illusione. Il racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius ne è un esempio folgorante: esso è la storia di un’apocalisse concettuale.

La trama segue le ricerche di un anonimo autore (forse Borges stesso) attorno al mistero che circonda la regione di Uqbar. Gli viene nominata per la prima volta da un amico, il quale, distrattamente, sostiene di averne letto una volta su una qualche enciclopedia. Nelle pagine relative si affermava che la letteratura di Uqbar possedeva un registro prettamente fantastico e che le sue storie erano tutte ambientate in una tra due terre immaginarie: Mjelnas e Tlön.

Tlön è una finzione nella finzione. È l’idea vagheggiata da una mente lontana abitante un regno indefinito. Eppure alla fine compare nel mondo reale. L’autore rinviene fortuitamente un volume appartenente a una enciclopedia perduta dal quale estrapola le concezioni metafisiche degli abitanti di Tlön, le loro grammatiche, le algebre, gli argomenti dotti, le dispute. L’autore ne viene del tutto conquistato; scopre un vero e proprio cosmo, inventato sì ma architettato con rigore, dalle precise leggi fisiche, puntuale, dove le asserzioni di Hume che sono esatte sulla Terra risultano essere del tutto false.

Pur trattandosi di un’opera di fantasia, l’enciclopedia contiene un intero pianeta credibile. Che farsene allora del proprio mondo? Cosa si agita nell’anima di colui che incontra un altro cosmo, valido e convincente come il proprio, ma del tutto antitetico? Potremmo leggere questo racconto come un incontro etnografico, ma nel modo in cui nessun incontro etnografico è stato raccontato: come la possibilità di cambiare.

Tlön però non è negoziabile; piano piano la sua ombra si addensa e sulla Terra appaiono dei referti che gli appartengono. Dapprima una bussola con delle incisioni tratte da uno dei suoi alfabeti, poi un piccolo e pesantissimo cono d’argento, uscito dalla tasca di un ubriacone della pampa, che è simbolo di divinità nel pianeta di Tlön. L’apocalisse comincia così – il pianeta Terra sta per essere sostituito. Nel frattempo viene rinvenuta l’intera enciclopedia, lì dove sicuramente prima non c’era. L’opera circola, gli animi se ne interessano. Ogni individuo resta affascinato dalla minuzia di questo pianeta incombente e se ne lascia conquistare. La realtà, inesorabilmente, cede. Ma la cosa certa «è che voleva cedere sin dall’inizio»1: quell’ordine così composto, fatto da umani per umani, è irresistibile.

Desiderio suicida del pensiero? Forse, se lo intendiamo come un annegare nella propria potenzialità espressiva. Ma in realtà è un’opera contro Dio, un ordito che, sebbene labirintico, è fatto da uomini e «destinato ad essere decifrato da uomini»2. Tlön conquista il mondo, diventa il mondo; le politiche cambiano, le società si trasformano, a scuola s’insegna la storia di Tlön mentre quella della Terra viene dimenticata. Gli umani dimenticano che il rigore di Tlön «è un rigore da giocatori di scacchi, non da angeli»3.

Eppure la sostituzione – come un’invasione di ultracorpi concettuali – prosegue imperterrita. Gli umani sono conquistati dal gioco. Siamo così smascherati. La verità sull’immaginazione è svelata: noi viviamo di essa. Le convenzioni sociali, le identità, la storia, qualsiasi fatto noi riteniamo oggettivo, è in realtà arrangiato dalla tessitura dell’immaginazione. Questo perché un’oggettività in sé non è definibile; ci sarà sempre uno scarto tra cosa e pensiero (almeno in termini di “vissuto”) e occorre qualcosa – l’immaginazione – che intervenga a mediare l’abisso e a creare dei riferimenti. Il mondo è una narrazione, una lettura. Un catalogo particolare, non l’interezza di tutti i libri possibili. Così l’avvento di Tlön è apocalittico in entrambi i sensi: man mano che distrugge il mondo ne rivela la psichedelica espressività.

 

Leonardo Albano

 

NOTE
1. J.L. Borges, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, in Finzioni, Milano, Adelphi, 2003, p. 33.

2. Ibidem.
3. Ibidem.

[Photo credit Patrick Robert Doyle via Unsplash]

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