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Sulla tv aveva ragione Popper?

Tra le opere più studiate di Karl Popper spicca il testo Una patente per fare tv (1994) meglio conosciuto come Cattiva maestra televisione, un saggio che mira alla messa al bando della neonata televisione, considerata nociva addirittura ai fini della realizzazione della democrazia. La tesi portante dello scritto identifica la televisione come un mezzo di comunicazione che educa alla violenza. Questa considerazione non deve apparire esagerata: Popper si avvale della testimonianza di alcuni responsabili di atti criminali, i quali hanno ammesso di aver agito ispirati da scene e situazioni viste in tv.

Al di là di questa considerazione, centrale nell’opera ma allo stesso tempo molto specifica, le osservazioni del filosofo si fanno più ampie, e giungono a riflettere sulla qualità della programmazione televisiva, che come può essere intuito, a sua detta è scadente. La causa individuata da Popper è molto vicina a quello che è anche il mio pensiero: il sensazionalismo. Ovvero, per mantenere l’audience, le reti televisive cercano di catturare la nostra attenzione facendo leva sul nostro coinvolgimento emotivo. E in effetti, sempre più di frequente, si può assistere a scene di commozione collettiva che coinvolgono anche i conduttori stessi dei programmi, i quali non troppi anni fa si mantenevano invece composti e distaccati. Probabilmente in pochi anni, a causa anche dell’avvento delle pay-tv, sono cambiate le dinamiche dell’intrattenimento e attraverso questi piccoli accorgimenti ai limiti del patetico forse si ottengono migliori risultati nelle analisi auditel.

Una questione importante su cui vorrei soffermarmi è la famosa fascia protetta. Mi sembra infatti che non venga sempre rispettata. Certi programmi, che talvolta ammetto di guardare per curiosità e per “interesse antropologico”, possono essere ben più fastidiosi (oltre che mal fatti) di qualche scena di intimità fisica e risultare dunque poco appropriati agli occhi di un pubblico di telespettatori inesperti lasciati da soli con il telecomando in mano. Ma in fin dei conti, siamo nel terzo millennio, il millennio che ha elevato a moda l’eliminazione di ogni tipo di tabù, sulla scia della libertà di espressione e della libertà di parola, che erano però state concepite e sbandierate in maniera decisamente diversa. Oggi si può e si deve parlare di tutto, corpo, affetti, religione. Non importa in quale sede. Chi si scandalizza più? Che poi… Possiamo ancora considerarci in grado di scandalizzarci o l’indifferenza e il pensare per sé la fanno da padrone? Riservatezza, pudore e timidezza sono caratteristiche da outsiders?

Ma il mezzo televisivo non è sempre da spegnere! Un esempio tra tutti risale agli anni ’60, quando in Italia la tv stava svolgendo un’importantissima opera di vera educazione di massa. Grazie alle lezioni di italiano della trasmissione “Non è mai troppo tardi”, il maestro Manzi, con l’appoggio del Governo, istruiva nel vero senso della parola decine di migliaia di telespettatori analfabeti e contribuiva in maniera esemplare all’unificazione linguistica della realtà italiana, di fatto esistente ancora soltanto da punto di vista geopolitico.

Tornando al testo di Popper bisogna dire che, letto al giorno d’oggi, chiaramente non riesce ad essere efficace nel suggerire il rifiuto o l’inutilizzo della televisione o degli altri mezzi di comunicazione di massa. Primo perché la loro comodità ed accessibilità sono indiscusse; secondo perché altrimenti potremmo apparire di fatto mal inseriti in questo gigantesco-piccolo mondo dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce.

La sua attualità consiste dunque nell’essere un promemoria per l’essere umano: ci ricorda di utilizzare la tv e gli altri mezzi in modo consapevole. Ho in mente un utilizzo che sia prolungamento e arricchimento della vita, che non la sostituisca. Penso ad un utilizzo che non degeneri ad essere inteso, come a volte accade, come dimensione unica della vita. Penso ad un utilizzo della tv che non ci abbruttisca, che non ci rinchiuda in noi stessi, nelle nostre case, con i nostri display di fronte a mo’ di Fahrenheit 451, magari a commentare instancabilmente i nostri programmi preferiti a suon di app ufficiali o hashtag preconfezionati. Penso ad un utilizzo che non sia inteso come passatempo a cui scaricare i più piccoli, per sollevare i genitori o gli educatori dai propri compiti e doveri. Penso ad un utilizzo dello smartphone che non ci faccia incorrere in multe o semplici distrazioni perché troppo occupati dalla ricerca di un Pokemon.

Mi pare anche superfluo e banale il ricordarlo, ma l’autenticità del vivere viaggia su ben altro livello!

 

Federica Bonisiol

 

Qui un breve documentario sul Maestro Manzi.

[Immagine tratta da Google Immagini]

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