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Lo spazio della filosofia nella cultura di massa: intervista a Simone Regazzoni

Esattamente un mese fa eravamo presi dagli ultimi dettagli per il nostro evento Pop Filosofia. Una serata con Socrate & Co. e stavamo aspettando l’arrivo dei nostri due relatori d’eccezione, Tommaso Ariemma e Simone Regazzoni. Al primo avevamo già dedicato una lunga intervista firmata da Giacomo Dall’Ava mentre abbiamo atteso l’inizio dell’evento sorseggiando uno spritz e ponendo qualche domanda questa volta a Simone, chiedendogli qualcosa di più sui suoi studi. In cantiere ha ben tre libri (ma non ci sentiamo autorizzati ad anticiparvi nulla!) mentre in passato si è occupato di temi interessanti e sempre attuali come la pornografia, ma anche di serie televisive, cosa che l’accomuna al collega Tommaso. Infine, da veri Potterheads (quasi tutta la redazione lo è!) abbiamo parlato di quel mondo incredibile creato da J.K. Rowling e di tutto quello che la saga di Harry Potter è stata in grado di insegnare.

Simone Regazzoni è docente di Estetica all’Università di Pavia ed è direttore editoriale della casa editrice genovese “Il melangolo”. Ecco finalmente per voi i passaggi principali della nostra lunga e piacevole chiacchierata.

 

La sessualità è un tema che è stato fatto proprio dai pensatori occidentali dall’antichità fino alla contemporaneità, si pensi per esempio alla mitologia di Platone, alle scoperte in ambito psicoanalitico di Freud, o alle speculazioni filosofiche di Foucault. Si può dunque ricongiungere la “pornosofia” a questa tradizione, come tassello ultimo di una lunga serie di interrogativi e indagini attorno al tema della sessualità? Come può l’erotismo avere una valenza d’indagine filosofica, secondo un’ottica pop-filosofica?

Il tema della sessualità è da sempre al contempo presente e tuttavia rimosso all’interno della filosofia; dico presente e rimosso perché la modalità della sua presenza è diversificata: è un tema che sì viene affrontato, ma non nel suo lato più reale e perturbante. È evidente che in Platone abbiamo la dimensione dell’eros, ma quando egli distingue tra un eros pandemos e un eros uranios sta definendo due livelli: uno dove eros ha una dimensione filosofica intellettuale, di elevazione, e un altro meramente corporeo che la filosofia lascia cadere fuori dal proprio discorso. Pensiamo al cuore del Simposio, dove tutti i discorsi costruiti perfettamente sull’eros vengono messi in scacco dall’ingresso dell’amante che è ubriaco ed eccitato: troviamo infatti Alcibiade che fa una dichiarazione d’amore sconveniente a Socrate. Penso anche ad un grande filosofo, che è stato anche mio maestro, Jacques Derrida, che diceva che se Heidegger fosse stato ancora vivo gli avrebbe chiesto che cosa ne fosse della sua vita sessuale; questo perché i filosofi non parlano della loro vita sessuale, possono solo speculare sulla sessualità. Derrida per esempio è un filosofo che ha dichiarato (ed è uno dei pochi) di aver parlato e descritto in maniera dettagliata il proprio pene all’interno di testi filosofici. Heidegger invece ha avuto una storia d’amore con una sua studentessa, Hannah Arendt; questo, che può essere declinato come una sorta di pettegolezzo filosofico, in realtà ha avuto un’importanza essenziale per Heidegger perché in quegli anni scriveva Essere e Tempo; forse non l’avrebbe scritto senza quella relazione amorosa/sessuale/erotica con Hannah Arendt.

La pornografia in tutto questo come entra? Secondo me essa è interessante per due elementi. Il primo è che è uno dei fenomeni più diffusi dal punto di vista della massa − solo il calcio compete con la pornografia. Per questo motivo incide sul livello di immaginario, di educazione sentimentale, di costruzione della soggettività e quindi è un fenomeno sociale rilevantissimo. Dall’altro punto di vista (quindi non solo sociologico ma anche filosofico) è interessante perché è l’unico spazio dove la carnalità dei corpi viene messa in scena; se dobbiamo cercare un corrispettivo pittorico dobbiamo pensare a Francis Bacon o a Egon Schiele. Dunque c’è questo doppio interesse: uno filosofico sul tema della carne (sul quale lavoro), ma anche un interesse in quanto fenomeno pop di massa che può permettere di intercettare le menti dell’immaginario; il mio libro infatti è un libro di filosofia ma anche di filosofia pop.

Un filone su cui insisto molto in questo libro è un lavoro di analisi del rapporto tra corpo e carne, poiché mentre l’erotismo è la dimensione del corpo nella massima potenza, la pornografia disgrega il corpo; pensiamo al dettaglio anatomico che è il focus centrale del film pornografico, il momento del godimento che deve essere captato… siamo al di là del corpo. Quindi il tema della carne, che per esempio la fenomenologia ha indagato, qui lo troviamo messo in scena anche nella sua forma più cruda. Evidentemente non si tratta di nobilitare la pornografia, ma di osservarla in quanto rappresentazione filmica della carnalità: questo è lo spazio della pornografia; che poi la sua valenza di fruizione sia di tipo masturbatorio è pressoché inevitabile, ma questo non significa che non abbia interesse. Sempre più poi quello spazio cinematografico limite che è la pornografia è penetrato in altre forme cinematografiche: Lars Von Trier prende degli spunti pornografici e li inserisce nei suoi film, così come Scorsese; anche il cinema cosiddetto “alto” quando deve lavorare su certi temi inserisce stilemi al limite. Quando gerarchizziamo i film lo facciamo secondo il tipo di effetto che hanno sul corpo: tanto più il film è intellettuale e tanto meno si inseriscono elementi corporei, mentre tanto più un film fa ridere, piangere o godere e più vengono inseriti elementi corporei, facendo abbassare la scala. La pornografia è considerata al limite della cinematografia perché non c’è alcuna possibilità di fruizione puramente intellettuale.

 

Che cosa significa pornosofia? Come afferma nel suo libro, essa ha come oggetto il tema di “fiction”: in quanto riflesso della società contemporanea, può la pornosofia diventare dunque la chiave di lettura del nostro presente? Che cos’è quindi il pop porno, in cui gli attori, come lei stesso afferma, «fingono di fare ciò che in realtà fanno»?

L’altro tema a mio avviso importante nella pornografia è la creazione di uno spazio di indistinzione tra realtà e fiction, perché la pornografia è insieme recitazione e performance corporea; tanto più la pornografia è di qualità, e cioè prevede degli attori, tanto più questa performance è ipercodificata e regolata. Al contempo però non può non avere un momento di realtà, che è quello del godimento − ovviamente si tratta di del godimento maschile perché sulla realtà del godimento femminile, anche sulla realtà vera, nessuno può mettere la mano sul fuoco, quindi ci potrebbe sempre essere un momento di finzione. Su quello che viene chiamato cumshot della pornografia ed appartiene all’atto maschile, quello è il momento indispensabile perché ci sia il porno; nel caso invece ad esempio dei film solo lesbo c’è tutta la “mitografia” della eiaculazione femminile che deve dare un corrispettivo. Tutto questo per dire che in ogni caso è necessario che vi sia un elemento di reale, e dunque è una delle poche rappresentazioni di fiction che prevede un momento di reale che debba in qualche modo lasciare il suo segno sullo schermo. Questo dato ci dice delle cose molto interessanti, soprattutto rispetto all’interazione che abbiamo sempre di più tra realtà e fiction: abbiamo sempre più bisogno di una finzione che abbia elementi di reale, al contempo la realtà è sempre più costruita, infatti non c’è elemento di cronaca o politico che non abbia una dimensione di storytelling e di narrazione. Quindi la pornografia ha in qualche modo anticipato l’intersezione tra questi due spazi.

Il secondo elemento è che la pornografia può darci a leggere la società e sicuramente i fenomeni interessanti di tale società. Pensiamo al fatto che non c’è uomo politico che non abbia una retronarrazione sessual-porongrafica e che grandi eventi politici del Novecento hanno avuto questa connotazione − cito per esempio Bill clinton che deve confessare se ha avuto o no un rapporto sessuale con Monica Lewinsky e deve andare a parlare di fronte agli Stati Uniti interi di questo dato. La dimensione di erotizzazione del corpo politico oggi è evidentemente qualcosa di ineliminabile: non c’è leader politico dove dietro non vi sia uno storytelling che prevede una erotizzazione del suo corpo. Quindi gli elementi che noi abbiamo trovato in questo tipo di fiction rientrano altrove − caso esemplare in Italia è quello di Silvio Berlusconi: non c’è stata una rappresentazione del suo corpo che non abbia avuto un sovraccarico di immaginario assolutamente pornografico, per quanto possa essere stato creato ecc. Quindi questo è sicuramente uno degli elementi che circolano oggi nello spazio pubblico e politico.

Concludo non a caso il libro sul rapporto tra democrazia e pornografia, perché poi l’altro elemento essenziale è: è possibile pensare uno spazio democratico che vieti la pornografia? Oggi non è possibile pensarlo. Quindi paradossalmente questa cosa di livello bassissimo, assolutamente volgare, le cui qualità estetiche non sono quasi mai eccelse (perché poi nella maggior parte dei casi la qualità della produzione è bassa), è certamente uno degli elementi che contraddistinguono uno spazio democratico, cioè il diritto di mostrare il godimento; in modo speculare invece non c’è spazio totalitario che non preveda la rimozione della pornografia. Quindi che rapporto c’è? Un filosofo come Alain Badiou dice che la democrazia (ma lui la critica in questo) è lo spazio dei corpi e del loro godimento; in questo riprende Platone e la critica platonica alla democrazia, ma in questo senso noi possiamo pensare che c’è un intimo legame tra spazio democratico e circolazione di un immaginario di tipo pornografico, inteso nel senso di ostentazione dei corpi e del loro godimento.

 

Addentriamoci ora in un altro tema, per noi molto interessante. Nel suo libro La filosofia di Harry Potter lei dà molta importanza al contrasto tra il mondo magico e quello dei cosiddetti babbani. Questa dicotomia favorisce il discorso riguardante l’alterità, ciò che è altro da noi e il relativo incontro che esperiamo. Che cosa può insegnarci il mondo di Harry Potter riguardo al concetto socialmente condiviso di normalità e del suo rapporto con la stranezza?

L’interesse per una saga come quella di Harry Potter può essere molteplice. Uno degli elementi è quello collegato alla domanda e cioè il fatto che la natura del romanzo di Harry Potter lo rende sui generis, tenta di mostrare il contrasto con una supposta “normalità” per codificare come spazio quello dettato da alcune regole, comportamenti morali e politici, in opposizione ad uno spazio altro che invece viene a mostrare il limite del precedente, quello della “normalità”, e lo rivalorizza. Il mondo dei Babbani è un mondo che si vorrebbe presentare come l’unico possibile ma questa normalità in realtà viene vissuta come una sorta di prigione; ecco che la scoperta del mondo magico è la scoperta di un’altra via per un altro mondo possibile. Si realizza in questo senso il passaggio tra i vari mondi, passaggi che permettono ai soggetti di trovare un mondo in cui possano aumentare le proprie potenzialità dell’esistenza. Dall’altro lato è interessante il fatto che lo spazio del mondo sia una sorta di multiverso che mette in discussione non solo il paradigma della normalità ma anche il paradigma della razionalità come l’unica chiave per interpretare il mondo; è ovvio che se il mondo è uno ed è retto da quelle leggi sarà uno strumento privilegiato, ma nel momento in cui si mostra che quel mondo è solo una nicchia accanto ad altre, ebbene allora dovremmo utilizzare altri strumenti.

Questa saga è anche molto interessante perché non arriva a rigerarchizzare i mondi, il mondo magico e quello vero e razionale. A questo punto non ci interessa più farlo, sono mondi che si compenetrano l’uno con l’altro e non l’uno affianco all’altro, sono pieni di passaggi all’interno e sono ripiegati l’uno nell’altro. Ci sono persone che sanno muoversi in entrambi utilizzando risorse differenti, per esempio Hermione Granger è una giovane maga molto razionale ma che deve anche sapere utilizzare la stranezza più assoluta, ma penso anche a Luna Lovegood che come personaggio è considerata una pazza ma in realtà ha semplicemente un altro modello di lettura della realtà e in certi contesti la lettura stramba, sfocata, fuori fase, permette addirittura di vedere pezzi di realtà che altri non vedono, ed è il caso delle creature “invisibili” ma che in realtà ci sono (i Thestral, ndR). Tutto questo è un tentativo di rompere con la chiusura della normalità per contrapporre quello che oggi la filosofia e la sociologia chiamano un sistema ad alta complessità: il mondo Hogwarts  è davvero un mondo ad alta complessità e il divenire soggetti di questi maghi è il dedicarsi ad attraversare la complessità con strumenti differenti, perché è vero che loro usano la magia (che è fatta di atti linguistici), ma usano anche la tecnica (e il padre di Ron Weasley ne è un esempio).

Cito inoltre Foucault nel testo per mettere in discussione il paradigma della normalità. Nello spazio normale dei Babbani per esempio ci sono le figure degli zii, che sono figure di aurea mediocrità per i quali qualsiasi persona che si allontana dal paradigma di normalità è un pericolo, una minaccia − lo zio di Harry è una minaccia, Harry stesso è una minaccia e così via. Tutto questo ci fa rivedere la dimensione della soggettività e ci fa riscoprire un altro tipo di etica. È inoltre in questo spazio accettato nella sua molteplicità che la relazione con l’altro non è semplicemente quella “l’altro è un nemico”, ma nemmeno quella finta buonista per cui “l’altro è una ricchezza” che anche nella sua diversità ci farà sempre bene. Pensiamo alla figura di Dobby, l’elfo domestico e dunque brutto esteticamente, distante dalla sensibilità di Harry, tuttavia il loro rapporto d’amicizia non si concretizza subito perché è una ricchezza, anzi, Dobby causa subito dei danni a Harry perché la distanza è molta. Ora il problema è che il rapporto con l’alterità ha un suo reale disturbante, ovvero l’elfo è disturbante, ma proprio a partire da questo si deve tessere un rapporto vero di riconoscimento e di amicizia, che non si costruisce sul fatto che l’altro mi dà ricchezza e quindi lo accetto, sarebbe troppo facile! Sarebbe la facile tolleranza per cui io tollero l’altro anche se è diverso esteticamente ma mi arricchisce e non mi crea problemi. L’altro è invece quello che io non riuscirò mai fino in fondo a comprendere, che ha delle regole davvero molto distanti da me e con cui tuttavia devo trovare il metro con cui misurare la giusta distanza. Su questo per esempio si fonda anche l’amicizia dei tre protagonisti con Hagrid, un mezzogigante che ama creature pericolose: è un’amicizia rimane solida non perché in qualche modo viene addomesticata ma perché loro si assumono la responsabilità di un certo rischio, la possibilità di essere feriti dall’altro, e quindi in questo senso vi è davvero un altissimo livello di riflessione sull’alterità in Harry Potter.

 

Abbiamo trovato molto interessante il capitolo in cui parla dell’atto etico e della figura pedagogica di Silente, il preside di Hogwarts. Crediamo che abbia colto una delle emergenze educative odierne quale l’abbattimento di un autoritarismo ancora vigente. Il consiglio e l’accompagnamento spesso si trasformano in coercizione ritornando dunque ad una visione di normalità anche nelle aspettative evolutive. Crescere secondo certe norme sociali condivise per sentirsi adeguati e giusti mentre la vera tendenza dovrebbe assumere dei caratteri libertari. Che cosa ne pensa e che cosa potrebbe suggerirci il vecchio Albus?

Il vecchio Albus secondo me non suggerendoci quasi niente ci ha detto tutto. È un tipo di impostazione pedagogica quella di Hogwarts in cui il soggetto deve allenarsi a diventare di più, dove l’allenamento, nel senso di ripetizione, errore, confronto con i pericoli, non ha mai eliminato nessun pericolo a questi ragazzi, infatti non sono protetti da nessuno, anzi paradossalmente Silente si occulta nel momento di maggior pericolo. In una narrazione di quel tipo poteva essere che il mago più potente fosse presente a risolvere i problemi, invece fin dall’inizio della saga i momenti di pericolo sono affrontati da questi ragazzi, che paradossalmente si misurano con questo pericolo e crescono ed imparano proprio in questo modo. Molto spesso poi si trovano ad affrontare un pericolo per infrazione di una regola: “non dovete andare in quella parte di Hogwarts”, “non dovete fare questo”, eppure poi non c’è nessuno lì ad impedirglielo. Non è un’educazione banale perché in questo modo sta al soggetto capire come rapportarsi a delle regole; un soggetto etico è qualcuno che valuta l’esistenza di contesti in cui l’etica non è semplicemente l’adeguarsi ad una norma, ma si deve saperla trasgredire, cioè reinterpretare nel modo giusto per rispondere in maniera adeguata a ciò che accade; altrimenti si rischia di trovarsi nella situazione di chi dice “io l’ho fatto perché le regole erano quelle”, che poi era la risposta data da Eichmann al processo di Gerusalemme. Le regole esistono inevitabilmente, il soggetto etico è quello che le valuta, capisce quali può applicare e sceglie che altre le deve trasgredire, prendendosene le responsabilità. Ad Hogwarts un’autorità come Silente non è qualcosa che compromette ed è soffocante, ma qualcosa a cui potranno comunque rivolgersi, e non è un caso che loro certe esperienze gliele raccontino. A questi racconti poi Silente risponde con poche parole, il che significa: io non ti dico niente però tu sai che io ci sono, prova la tua strada, sbaglia, rischia, trova il tuo modo giusto per farlo, confrontati con la tua solitudine. Per questo Silente è stato per loro un grande maestro, anche quando Harry soffriva per il suo silenzio. A questo proposito cito solo una delle sue frasi più importanti sull’etica: “quando e se vi troverete a scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile, ricordatevi del vostro amico Cedric Diggory”. Etica non è tra ciò che è bene e ciò che è male: è tra ciò che è giusto e ciò che che è facile, ovvero fare la cosa giusta è fare la cosa non facile; in questo senso la via delle regole potrebbe essere anche la via più semplice.

Albus Silente è questo personaggio. Aggiungo che c’è un altro elemento interessante, poiché lui dovrebbe essere la figura positiva per eccellenza della saga ma in realtà nell’ultimo libro viene fuori, tramite una biografia, la sua fascinazione in età giovanile per il lato oscuro. Questo significa che non era un uomo perfetto, ma perché non ci sono uomini perfetti: non lo era il padre di Harry e nemmeno lo era Silente. Dopo un iniziale rifiuto, Harry giunge ad una conclusione: “io so questo”, e finalmente non c’è una visione idealizzata del maestro, è un uomo che gli ha saputo insegnare molte cose, con cui si è confrontato con le sue debolezze e paure, senza contare il fatto che Silente muore, dunque non è il grande mago infallibile. La grande innovazione di J. K. Rowling è questo personaggio luminoso ma con il suo lato oscuro, perché ciascuno ha le proprie problematiche; incarna una pedagogia che non è anarchia ma costruzione ed esperienza della libertà.

 

Dal mondo magico a quello politico. Lei di politica ha avuto modo di occuparsi sia attraverso i suoi scritti (ricordiamo La decostruzione del politico. Undici tesi su Derrida del 2006 e Derrida. Biopolitica e democrazia del 2012), che in prima persona, avendo militato nel Partito Democratico. Cosa ne pensa di un governo retto dai filosofi, come immaginato negli scritti di Aristotele?

L’idea di un governo retto dai filosofi la trovo pericolosa perché in realtà si tratta di una idea di intellettualizzazione della politica che deve essere subordinata ad una forma di sapere. Non è in linea con la concezione dello spazio democratico a cui sono affezionato, poiché nello spazio democratico non c’è una teoria delle élites per la quale sono solo le élites stesse a poter governare. La democrazia è invece lo spazio del governo del popolo attraverso la rappresentanza, quindi qualsiasi elemento che dica che c’è uno spazio di intellettualizzazione della politica è un rischio per la democrazia. È evidente che la degenerazione della democrazia può essere dietro l’angolo e tuttavia la degenerazione di questi anni è dovuta all’illusione che i tecnici possano salvare lo spazio politico nei momenti di crisi. In realtà abbiamo visto che il momento in cui i tecnici vanno al governo sa essere rischioso, questo non perché i tecnici siano peggiori ma perché ai tecnici manca quel tipo di legittimazione democratica. Preferisco un governo che faccia i suoi errori ma che sia stato eletto democraticamente. Questo perché anche la supposta “scienza” che dovrebbe conoscere le cose, ovvero la scienza di tipo economico, oggi dobbiamo considerarla oggettiva; eppure la scienza economica non ha previsto la grande crisi dal 2001 in poi, anche perché questo è un paradigma di lettura, pensare che se mettiamo in atto quella siamo salvi è un’ingenuità assoluta. Quindi diffiderei di un governo di filosofi, ma se piuttosto c’è un governo in cui ci sono anche filosofi mi sta bene. Io ormai ho una certa età ma a me un filosofo come Cacciari sarebbe piaciuto vederlo in un governo di centro-sinistra. Io penso che i filosofi possano dare un contributo, ma un governo di soli filosofi non lo considererei né lo sognerei.

 

Concludiamo, come sempre succede nelle nostre interviste, con la domanda un po’ banale e un po’ difficile: che cos’è per lei filosofia?

Utilizzerò una formula: per me filosofia è non rinunciare a niente nello spazio o nel tempo. Dico questo perché ci sono altre forme di sapere di cultura ecc, ma secondo me la filosofia non ha a che fare con la cultura né con il sapere. La formula socratica del “sapere di non sapere” non è da banalizzare, è importante restare in un orizzonte di non sapere, perché devo avere una libertà radicale di pensiero. Il pensiero della filosofia, per me, è l’unico pensiero che non rinuncia a niente perché non ha una forma di espressione privilegiata: le ha sondate tutte, dalla poesia, all’autobiografia, dalla lettera al saggio universitario e al diario, ecc. Non ha un oggetto privilegiato di interrogazione, può interrogare qualsiasi cosa e anche il nulla, la si può fare su oggetti inanimati, come quando Sartre scopre la fenomenologia e dice “ah, quindi si può fare filosofia anche su un cocktail”… quindi non c’è nulla a priori su cui non possa interrogarsi. Non ha inoltre un metalinguaggio già definito, perché ciascun filosofo ha il suo linguaggio anche tecnico ma non c’è il metalinguaggio della filosofia. In questo senso davvero non rinuncia a niente, compresi i rischi del pensiero, non ha un pensiero edificante, non rinunciare a niente vuol dire anche se vogliamo non rinunciare al lato oscuro, per esempio Heidegger, che è uno straordinario filosofo, è stato nazista? Sì, non si può ridurre questo a “no ma per due mesi per sbaglio, un anno, mezzo anno, ma lui capiva un altra cosa”… no, lui ha avuto (a suo modo) un rapporto con il nazismo che entra anche nei testi filosofici, e ora che sono pubblicati i quaderni neri lo vediamo ancora di più. Scopriamo tutto questo e allora Heidegger non è più un grande filosofo? Non credo, Heidegger resta un grande filosofo, che la filosofia si arrangi; in questo senso la filosofia non rinuncia a niente, non rinuncia neanche a prendersi i rischi estremi, e non c’è nulla quindi di meno rassicurante di un filosofo.

 

La Redazione

 

[Immagine tratta da repubblica.it]

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