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Morte “meccanicizzata”: morte senza sentimento

Non è la morte a essere un “male” e a fare paura, bensì il “processo del morire” nel quale la morte costituisce il punto ultimo.

Umberto Veronesi, Il diritto di morire

Il tema della morte e più in generale quello della fine della vita umana, possiede una rilevanza assolutamente primaria per l’autocomprensione dell’uomo a livello intimistico poiché investe la radice stessa del rapporto che noi siamo in grado di stabilire con noi stessi e con il mondo esterno. [Comitato Nazionale per la Bioetica]

La morte è un fenomeno biologico che rappresenta per l’uomo l’ultima fase della vita e di questa è parte integrante sul piano psichico, su quello somatico e su quello sociale. È un avvenimento spaventoso per l’uomo, lo è sempre stato, è una cosa inconcepibile per l’individuo, ma anche invivibile perché quando arriva lei l’uomo non esiste già più; eppure tutta la vita dell’uomo è protesa verso la morte, il tempo è concepito come finito, limitato proprio per la presenza, nella vita dell’uomo, della morte: è un paradosso che potrebbe essere spiegato con delle semplici parole di Bergson, quando parla della vista, cioè per lui l’occhio è l’organo della vista ma ne è anche ostacolo, perché limita lo sguardo, poiché

avere occhi significa vedere, ma al contempo significa anche non vedere che;

Jankèlèvitch Vladimir, L’irrevocabile

lo stesso lo si può dire della morte, la quale impedisce di vivere ma soprattutto limita la vita e la spezza, ma senza di essa l’uomo non sarebbe tale ed è proprio per la presenza del timore della morte che l’esistenza è vera, viva, perché si arricchisce di adrenalina, di passione. Come a dire che

chi non muore non vive. Sicchè preferisco essere ciò che sono: condannato a qualche decennio soltanto, ma…aver vissuto!

Jankèlèvitch Vladimir, L’irrevocabile

L’uomo, sin da quando nasce, sa di dover avere a che fare con questa tremenda prospettiva: il tempo è percepito come lineare, cioè parte da un punto per giungere ad un altro. Finché, però, si è in salute, o non si è stati a contatto con la morte di persone vicine, il tempo della morte sembra inarrivabile, mentre il tempo della vita appare lungo e a nostra completa disposizione. Non ci si rende conto della fugacità di questo fino a quando non entriamo nell’ottica della morte; l’uomo, infatti, vede la morte come qualcosa di assolutamente lontano da sé, la riserva solo agli altri:

so che morirò, ma non ci credo.

Madaule Jacques, Considerations de la mort

Oggi come oggi, però, è cambiato il nostro modo di affrontare la morte e di trattare il suo approssimarsi e i soggetti malati destinati a morire, ma il timore è cresciuto forse perché morire nei giorni nostri, è più solitario, più meccanico, più disumanizzato poiché l’individuo è ospedalizzato, dunque oggettivato, cioè considerato senza possibilità di avere un’opinione ma che per il medico diventa ben presto un evento alquanto banale, una ‘pratica da sbrigare nel minor tempo possibile’:

si tratta della morte alla terza persona: la morte di uno qualsiasi […]…E’ la morte senza mistero.

Jankèlèvitch Vladimir, L’irrevocabile

La questione della fine della vita è perciò molto delicata, perché va a toccare la parte più intima della persona, per questo nella riflessione bioetica sulla morte è necessaria, oltre alla conoscenza di inizio-fine vita, anche la conversione dell’atteggiamento nei confronti della vita chiedendosi quanto si è disposti a riconoscerla e amarla in ogni sua espressione e a riconoscerla nascente e morente come proprio simile, prendendosi cura di essa.

Deve esserci un’analisi che vada in profondità nell’animo umano quando si è alla fine della vita, sia che siamo noi i protagonisti, sia che tocchi a qualcun altro, perché alla base di tutto ci deve essere il riconoscimento dell’altro come altro e come avente un suo valore, in quanto l’uomo sceglie la vita perché essa è relazione con l’altro: solo in questo modo siamo in grado di rendere meno dolorosa l’esperienza della morte e di far affrontare o affrontare noi stessi il tempo rimanente, un tempo, questo, non più proiettato verso uno scopo, non progettuale, quindi non si proietta più verso un avvenire in vista di un progetto; anzi, si cerca di rifuggire dal futuro che sarà solo causa di estrema sofferenza per chi se ne va e per chi resta.

Valeria Genova

[Immagini tratte da Google Immagini]

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