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Intervista ad Alberto Corradi: l’arte come atto catartico

Classe 1971, autore di fumetti, illustratore, visual artist e curatore: Alberto Corradi ci accompagna nella scoperta del suo percorso artistico esplorando quelle che sono le maglie complesse e intricate dell’illustrazione e del mondo dell’arte.

A partire dal 1993 le storie e le immagini di Alberto Corradi sono apparse in Italia e all’estero in riviste, antologie, graphic novel, mostre e progetti collettivi. Popolare per il suo stile unico, estremamente pop, ricco di personaggi e creature coloratissime, abbraccia lettori di tutte le età, collaborando con numerose e prestigiose testate come La Repubblica XL, dove ha realizzato dal 2006 i temibili personaggi di Mostro&Morto, e altre come Linus, Smemoranda e GBaby.

Ha esposto in diverse città italiane da Bolzano a Napoli spostandosi poi all’estero a Stoccolma, Parigi, Los Angeles, Seul e Belgrado sia in personali sia all’interno di collettive.

Negli ultimi anni ha collaborato con alcune band italiane tra cui Marco Notari, Facciascura e Yellow Moor, il nuovo progetto di Silvia Alfei & Andrea Viti (Afterhours, Karma, Juan Mordecai). I suoi graphic design coprono l’houseware con piatti (Stikka) e tazze (Les Éditions Mugs-design), l’interior design con wallpapers, carte da parati e orologi da parete (Stikka). Dal 2014 collabora con la società francese Extraverso alla realizzazione di una serie di cover / case per smartphone di nuova concezione

Alberto Corradi fa parte del supergruppo QU4TTRO, fondato nel 2013 insieme a David “Diavù” Vecchiato, Massimo Giacon e Ale Giorgini. Dal 2011 è il direttore artistico delle mostre internazionali del TCBF Treviso Comic Book Festival (Svezia -2011-, Nuova Zelanda -2012-, Danimarca -2013-, Portogallo -2014-).

Pinocchio

Ha realizzato inoltre il romanzo autobiografico Smilodonte, edito da Black Velvet Editrice e l’antologia senza parole Regno di Silenzio; attualmente sta lavorando su un graphic novel ambientato nel Seicento giapponese e sulla serie a fumetti per bambini “Il mostro nella tazzina” per il GBaby, mensile prescolare delle Edizioni San Paolo.

In che modo l’illustrazione è entrata a far parte della tua vita? Come si è sviluppata la tua tecnica nel tempo?

Nasco come autore di fumetti e solitamente ho due modi di costruire una storia: partendo da una visione/immagine che visualizzo nella mia mente, o da un testo che ho scritto in precedenza. Una illustrazione viene concepita più o meno nello stesso modo, mi ancoro a un sentimento profondo e cerco di portarlo a galla, qualcosa di indesiderato e sepolto, un sentimento che mantenga un leggero senso di disagio, che mi spinga all’urgenza di arrivare a una fine. All’illustrazione non ci pensavo all’inizio della mia carriera, ci sono arrivato tardi per la natura stessa del mio lavoro. Lavoro sull’immateriale il più delle volte, non uso / usavo figure o esseri umani per cui illustrare qualcosa connesso a un testo mi appariva un concetto piuttosto distante. Però è un qualcosa che mi è stato richiesto da subito da editori e committenti che di certo vedevano in me potenzialità maggiori di quelle che io stesso volevo immaginare. Per arrivare a delle illustrazioni che mi appagassero appieno sono dovuto tornare a dipingere: reimplodendo sulla materia surreale delle mie creature e delle mie simbologie ho trovato accesso a una nuova sorgente di motivazioni per creare delle illustrazioni, commerciali o puramente artistiche che fossero. La mia tecnica ancora adesso è per il 90% lavoro manuale, matite, pennelli e qualche rapido, poi implementato con photoshop o illustrator. Il mio mondo è sempre stato bidimensionale per cui un “eccesso di zelo” causato dai supporti digitali disponibili oggigiorno forse romperebbe un equilibrio così a lungo ricercato anche se, lo confesso, sono tentato da oggetti lucenti come le Cintiq.

Come definiresti il tuo stile? Hai avuto qualche maestro di riferimento o qualcuno a cui ispirarti?

Il mio stile è estremamente pop specie sul fronte illustrazione / graphic design, ma più di ogni altra cosa è Alberto Corradi.

Di certo hanno avuto un grande influsso su di me Massimo Mattioli (Pinky, e ancora di più Joe Galaxy) e Luciano Bottaro (Redipicche, Il Paese dell’Alfabeto e non ultime le sue saghe dedicate a Paperino), ma più per alcune tematiche e certo sentimento insito nell’opera di entrambi. Mi sono sempre sentito molto vicino a Mirò per il suo senso della composizione. Il mio stile deriva da una riflessione stilistica operata sul segno che già contraddistingueva i lavori dei primi anni della mia formazione, portata costantemente in avanti nel corso del tempo. Non ho mai copiato da nessuno, solo a 12 anni ho riprodotto una decina di disegni di John Hart da Wizard of Id e BC e un paio di alieni di Mattioli, su carta millimetrata, per poi pentirmene e distruggere tutto o quasi.

Come nasce e si sviluppa un tuo disegno?

Prima creo una bozzaccia per dare forma alla “visione” a cui accennavo in precedenza, comprensibile solo a me in pratica, per capire dove collocare ogni elemento, poi realizzo delle matite piuttosto dettagliate e ripasso il tutto. La composizione deve essere il più equilibrata possibile, è una cosa per cui mi danno ogni santa volta, ogni elemento deve essere motivato e trovarsi in quel punto per una valida ragione, anche se lascio al caso sempre un 10% della realizzazione. Quando sono libero da committenti o lavoro al progetto di qualche amico/collega mi capita di andare direttamente di pennello, agendo a mano libera sul foglio bianco. Passo molto tempo a soffrire sul concetto, mentre l’azione sul foglio è immediata, una blitzkrieg che si esaurisce in qualche ora e tutto deve essere chiuso prima di andare a dormire.Drago Apocalisse

Quale definizione attribuiresti all’ARTE? Che cos’è per te arte?

Riuscire a focalizzare le emozioni e il dolore in un atto catartico e fantastico in grado di elevare la persona a un altro livello della percezione.

Molti teorici dell’arte ritengono che non tutto ciò che è frutto di creatività può considerarsi un’ Opera d’arte. Athur Coleman Danto filosofo analitico e artista afferma che ciò che determina la differenza tra un semplice oggetto e un’opera d’arte è quel mondo dell’arte fatto di istituzioni, teorie e regole. Concordi con questa considerazione nel definire che cos’è un’opera d’arte?

Venendo dal fumetto e operando nel neo-pop / pop surrealism, strettamente apparentato proprio con i comics (tanto quando la Lowbrow), ragiono sempre sulla necessaria dose di astrazione che separa due media correlati ma per certi versi così distanti come fumetto e pittura / illustrazione. Ma questo vale per me: non ritengo esista una regola, sono convinto che l’unica regola che definisca l’Arte sia l’artista stesso nel momento in cui la pratica, un atto magico, un atto su cui baso gran parte della mia ricerca, tutto il mio lavoro cela simbologie e tematiche ricorrenti. Uno dei livelli di lettura del mio romanzo (autobio)grafico Smilodonte (Black Velvet Editrice, 2007) tratta proprio l’importanza delle valenza magica di immagini e parole negli anni della mia formazione. Ma il problema è la veridicità dell’atto magico, dell’applicazione dell’Arte all’opera.

Maurizio Ferraris afferma che “avere rappresentazioni è la condizione dell’agire e del pensare, che sono le caratteristiche generalmente attribuite ai soggetti. […] così pure il desiderio o il timore, l’amore o l’odio, e insomma tutta la gamma dei sentimenti hanno bisogno di immagini. “sei d’accordo con questa affermazione? Qual’è per te il ruolo dell’immagine oggi?

L’immagine deve colpire, inquietare, emozionare ed estraniare lo spettatore dal contesto del reale che lo circonda proprio per poterlo ricondurre al reale e al contesto a cui l’immagine è collegata se si tratta di una illustrazione, o perderlo definitivamente se si tratta di un’opera pura e semplice (guardate un’opera di Charlie Immer, poi provate a tornare indietro). Dare immagini ai sentimenti è solo il primo passo, ma ormai la pittura e l’illustrazione assolvono un nuovo compito che bypassa il committente, un confine sempre più labile dove lo stile cela ragioni più profonde, e assistiamo alla necessità da parte del creativo di definire nuovi sentimenti con nuove immagini. Edward Gorey, David Lynch, Mark Ryden, Gary Baseman sono riusciti da tempo a portare nuovi semi dalle zone di confine dell’immaginario, non voglio fare elenchi, ma ritengo che l’illustrazione stia andando in questa direzione da tempo, cito Shout tra gli italiani, ma non riesco a togliermi dalla testa che un quadro di Ale Giorgini in scala di grigio potrebbe stare tranquillamente appeso nella camera d’albergo dell’agente Cooper nell’annunciata nuova stagione di Twin Peaks.

Aristotele diceva che “l’anima non pensa mai senza immagini, e che pensare è come disegnare una figura”, cioè registrare e iscrivere, non si tratta solo del pensare per immagini, bensì di adoperare consapevolmente immagini e schemi per facilitare il pensiero. A tuo parere perché è così efficace la comunicazione visiva? Le immagini/illustrazioni possono essere informazioni visive tanto quanto un testo scritto o un documento?

Concordo con Aristotele. La comunicazione visiva è efficace non solo perché quello dei segni è un linguaggio universale, per cui soggetto a codifiche, ma perché prima di essere codifica nasce come opera d’arte, quindi parte da quella capacità di instillare emozioni che è caratteristica principale dell’Arte. Penso ai geroglifici egizi o all’alfabeto alle sue origini: la nostra lettera A non è altro che una testa di bue capovolta, l’Aleph degli antichi fenici, un bue che prima di essere trasformato in convenzione molto probabilmente era un’opera d’arte primitiva, evoluta in segno nel corso del tempo. L’immagine e insiemi di immagini sono sempre stati impiegati nel corso dei secoli per raccontare e informare le persone capaci e incapaci di leggere, gli affreschi su palazzi e interni alle chiese (che illustravano parti dell’Antico e del Nuovo Testamento) ad esempio o la pittura d’infamia in epoca comunale, dove il condannato (anche se ancora vivente e spesso esule) veniva ritratto nell’ora del suo supplizio appeso per lo più per un piede, con artisti del livello di Andrea del Castagno o Andrea del Sarto a realizzare l’opera. L’illustrazione / opera d’arte assolveva quindi funzione di servizio pubblico. Certo, si tratta di diverse frequenze su cui viaggiano le informazioni, per cui non possiamo attestarci su un categorico “tanto quanto”, ma una illustrazione può informare e andare oltre, descrivendo e ispirando sentimenti ed emozioni, come un testo.QUESTA E' L'ORA

L’illustrazione veniva definita come “l’immagine che accompagna un testo”. L’illustrazione oggi è qualcosa di molto di più, ha superato il suo significato originale. L’illustratore non è più soltanto un “figurinaio” ovvero un artista che descrive un testo con un’immagine, ma è un autore egli stesso: costruisce immagini. Che cosa puoi dire degli illustratori d’oggi? L’illustrazione ha forse nuove finalità?

Ancora adesso viene richiesto a molti professionisti di accompagnare il testo, ma appunto, chi si limita a questo oggi più che mai sta al di qua del confine dell’immaginario di cui ho fatto menzione in precedenza. L’illustratore oggi vive in un contesto nuovo, l’uomo è imploso, collassato su se stesso, la società stessa è implosa, gli illustratori del passato erano testimoni dell’“esplosione” della società, del boom economico, del divenire della vita nella società industrializzata. Adesso sono testimoni della sopravvivenza di questa società, la carne è messa a nudo, le cartilagini esposte. Bisogna vedere e saper prendere la mira: per citare il dizionario anglosassone “to see” è sia vedere che sapere, al contempo. Prima l’illustrazione commentava, ora è testimone.

A tuo parere l’illustrazione con l’avvento della tecnologia, del computer e delle immagini digitali è cambiata?

Tutto si evolve, anche se a volte le cose più cambiano più restano le stesse: abbiamo programmi che “mimano” tutte le tecniche di colorazione, dai pastelli agli acrilici o che permettono il 3D modeling, ma la cosa che più mi impressiona è il pensiero di quanto fossimo lenti negli anni Ottanta senza computer (per non parlare del margine di errore su misure e scale cromatiche) e di quanto mi pare di essere lento ancora adesso seppur munito di tecnologia. E nonostante tutto ci siamo paurosamente velocizzati! Il pensiero è sempre più veloce della mano. Sì ci sono stati logicamente dei cambiamenti, anche se alla fine il “limite” resterà sempre l’estensione umana della macchina, cioè noi, quello splendido “limite” che definisce la biodiversità di ogni singolo artista.Eye Cherubium

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sono all’opera su tre nuovi romanzi grafici e presto ripartirò a lavorare sulla mia nuova serie di quadri, Pink Darkness, inaugurata a inizio anno con la personale Pop Alone presso l’Hangar Tattoo

Studio & Art Gallery in Via dei Marsi, a San Lorenzo a Roma. Ho una nuova personale in programma, mentre sul fronte del graphic design stanno per arrivare un paio di novità, una è un progetto collettivo in compagnia di vari illustri colleghi, mentre nell’altro caso mi dedicherò al mondo degli skaters, un ambito che mi ha sempre affascinato.

Ultima domanda dedicata ai nostri lettori, che cosa pensi della Filosofia?

Della Filosofia? Panta Rei.Il Congresso dei Corvi

“L’osso è metafora suprema della verità, mentre il corpo è metafora della menzogna del vivere ogni giorno senza sapere perché”.

Così Alberto Corradi introduce il suo blog intitolato Ossario e delinea uno dei suoi topoi grafici che ricopre una parte fondamentale del suo percorso artistico da molti anni.

Quello che percepiamo chiaramente quando ci confrontiamo con una delle illustrazioni di Corradi è questa continua tensione tra il corpo, inteso come carne, che viene investito da molteplici ambiguità, differentemente dall’osso e della struttura scheletrica del corpo che invece ne annienta le ambiguità.

L’abilità di Corradi, a mio parere, si cela proprio nella sfida continua di voler comunicare un arcobaleno di emozioni e sentimenti tramite l’espressività statica e la nudità dello scheletro umano.

Se da un lato alcuni dei suoi lavori possono inquietarci, colpirci ed estraniarci dal reale, in un secondo momento questi ci riconducono alla nudità del reale, invitandoci a riflettere, e a cogliere la vita nelle sue più diverse sfumature.

L’arte come grande metafora della vita, così potremmo intendere il lavoro di Alberto Corradi, un’arte permeata di simbologia, intesa come un profondo atto catartico, non solo dalla parte dell’artista ma dallo stesso fruitore, il quale può, attraverso di essa, rileggersi, rileggere ciò che lo circonda e reinterpretare le esperienze del proprio vissuto.

Elena Casagrande

Blog: www.ossario.blogspot.it

FB: www.facebook.com/pages/Alberto-Corradi

[immagini concesse da Alberto Corradi ]

Elena Casagrande

mountain lover, sognatrice, altruista

Sono nata a Conegliano nel 1992 e da sempre ho una grande passione per la natura, gli sport all’aria aperta e per la montagna. Dopo il liceo scientifico ho scelto di studiare filosofia all’Università Ca’ Foscari Venezia e mi sono bastati pochi mesi di lezioni per capire che la filosofia meritava qualcosa di più che […]

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