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I classici d’Autore: ‘200 – ‘300 – ‘400 – ‘500

 

Leggere è un autentico universale. Tutta la nostra esperienza è leggere.

Hans-Georg Gadamer

“Non mi piacciono i libri da vecchi: sono noiosi e pesanti. Preferisco quelli meno impegnativi, una lettura leggera che mi distragga”.

Viviamo in un mondo che non lascia spazio alla lettura di per sé, ma soprattutto che disprezza tutto ciò che appartiene alla letteratura d’Autore, quelli che a me piace ancora chiamare i “Grandi Classici”.

La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati.

René Descartes

La letteratura italiana ce la insegnano a scuola e non sempre si ha la fortuna di trovare qualcuno che sia in grado di farcela apprezzare, che la conosca a fondo e la renda poco nozionistica e molto coinvolgente.

Forse sono stata fortunata ad incontrare insegnanti capaci di trasmettermi l’amore per i grandi Autori, forse ho sempre avuto la passione per questo genere di testi o, forse, ho sempre cercato di conoscerne qualcuno in più rispetto a quelli scolasticamente proposti, di modo da riuscire ad innamorarmi dei libri letti.

Il mio intento, oggi e la prossima settimana, sarà quello di proporre i testi letterari che mi hanno lasciato qualcosa. Ne sceglierò uno per ogni secolo, cercando di farvi capire perché questi grandi classici non sono soltanto da leggere ma soprattutto da vivere. Per ogni pagina che sfoglierete, per ogni sensazione che vi provocheranno i versi che sceglierò, per ogni battito del cuore che sentirete più forte.

Il Duecento è il secolo dei grandi inizi della letteratura; Francesco d’Assisi, la lirica popolare e giullaresca, il Dolce Stilnovo e, precedente ma non meno importante, la Scuola siciliana. Se la maggior parte di voi sarà rimasto affascinato dal mondo degli stilnovisti, io mi sono innamorata di un sonetto attribuito a Jacopo da Lentini, esponente della Scuola siciliana.

Lo viso mi fa andare alegramente,
lo bello viso mi fa risvegliare,
lo viso mi conforta ispessamente,
l’adorno viso che mi fa penare.
Lo chiaro viso de la più avenente,
l’adorno viso riso mi fa fare.
Di quello viso parlane la gente,
nullo viso [a viso] li pò stare.
vide mai così begli occhi in viso,
sì amorosi fare li semblanti,
boca con cotanto dolce riso?
’eo li parlo moroli davanti,
e paremi ch’eo vada in paradiso,
e tegnomi sovrano d’ogn’amanti.

Mi ha sempre affascinato perché è a questo Autore che si attribuisce l’invenzione del sonetto e della teoria dell’amore; alla sola vista della persona amata si scatena l’immaginazione dell’altra. Un pensiero così antico o sorprendentemente attuale? Succede a tutti, il classico colpo di fulmine. La vedi e non capisci più nulla; la vuoi conoscere, toccare, baciare, parlarci. La sogni, la desideri, si insinua in ogni tuo pensiero. Le parole cambiano, ma ci si ritrova nella sensazione; tipicamente d’amore.

Se mi si dice Trecento, io penso al Decamerone. L’opera di Boccaccio, attraverso le cento novelle inserite in una cornice narrativa,

è l’amore della vita nella pienezza del suo essere e svolgersi, guardata col cuore sgombro da ogni preoccupazione morale e religiosa, e con una esultanza cordiale per il suo bel fiorire: la vita che è gioco e vicenda della fortuna, vicenda or lieta e ilare ora drammatica e persino tragica (Mario Sansone).

Vitalità è la parola giusta per descrivere ciò che, a mio parere, trasmette quest’opera. E’ innovativa per quel periodo, lo è ancora oggi. La capacità dell’Autore di trasmettere novità è quel qualcosa in più che si può cogliere in ogni parola; dal linguaggio ai temi trattati, il Decamerone stupisce.

La vitalità è una parola che associo inevitabilmente anche al Quattrocento e a questi versi:

Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
vuol esser lieto, sia:
del doman non c’è certezza

I versi di Lorenzo Il Magnifico mi portano sempre a cogliere l’attimo. Carpe diem: espressione applicabile ad ogni singola ora della nostra vita. Godersi appieno ogni azione e ogni attimo piuttosto che ogni persona, consapevoli dei nostri limiti e della nostra finitudine, perché niente può essere insostituibile come il momento che si vive fino in fondo, niente è percepibile quanto il presente, come affermava il Padre del Carpe Diem, Orazio, considerando il fatto che all’uomo non sia possibile conoscere e determinare il futuro.

Per scegliere di non vivere un futuro che non è ancora nelle nostre mani né di aggrapparsi ad un passato che non rivive al solo pensiero.

Mentre parliamo, il tempo, invidioso, sarà già fuggito:
Cogli l’attimo, fiduciosa il meno possibile nel domani.

Orazio

Finiamo la rassegna di oggi con il Cinquecento. È un secolo florido; Ariosto, Castiglione, Bembo. La mia preferenza, per questo secolo, va a “Il Principe” di Machiavelli. Non è riconducibile ad uno specifico genere, è semplicemente illuminante.

… e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati.

Attraverso una descrizione del principe ideale, Machiavelli propone un modello da collocare nella concretezza, ma non si limita soltanto a questo. Studia la natura umana, analizza il rapporto tra virtù e fortuna, tra guerra e pace.

Perché leggerlo?

Per trovare ciclicità nel tempo, per capire quanto conta non solo il valore della persona ma anche i fattori esterni, per trovare una proposta concreta.

I classici non sono obsoleti, ma profumano di attualità e sono classici proprio perché non passano mai di moda. Tipici, controcorrente, ma pur sempre in grado di insegnarci qualcosa in più per assaporare il nostro quotidiano e imparare a viverlo.

Cecilia Coletta

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

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