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Per uno sviluppo sostenibile: intervista all’ex ministro Enrico Giovannini

Abbiamo raggiunto telefonicamente Enrico Giovannini sulla via del ritorno dal Festival di Internazionale a Ferrara, svoltosi dal 29 Settembre al 2 Ottobre scorso. Giovannini, economista e statistico, già presidente dell’Istat, ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali del governo Letta, da sempre attento ai temi della sostenibilità, è ora fondatore e portavoce dell’ASviS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile): si tratta di una rete di associazioni del mondo civile ed industriale italiano con l’obiettivo di sensibilizzare la società e la politica italiana rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU in materia di sviluppo sostenibile. L’abbiamo contattato il giorno dopo il suo intervento dal titolo Un’altra idea di mondo al Teatro Nuovo di Ferrara, gremito di giovani, nel quale ha parlato delle varie proposte della sua associazione e del futuro dell’Italia.

 

Giovannini, lei è portavoce dell’ASviS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile): ‘sviluppo sostenibile’ oggi ci sembra un termine quasi abusato, malamente applicato all’interno dei contesti, probabilmente perché il concetto non è realmente capito. Ce lo può spiegare?

Per molti anni il concetto dello sviluppo sostenibile è stato declinato  fondamentalmente in una dimensione ambientale. Per fortuna non è più così. Dalla commissione Bruntland, che aveva parlato di uno sviluppo sostenibile articolato in quattro dimensioni – economica, ambientale, sociale e istituzionale – è passato gradualmente un concetto che è più esteso della pura dimensione ambientale. Dopodiché, l’anno scorso, con l’assunzione dell’agenda 2030 dell’ONU e la fissazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, questa visione – come si dice in modo abusato – a 360 gradi, è stata riconosciuta come l’unica possibile. Sul piano della misurazione da molti anni gli statistici internazionali hanno fatto presente che la sostenibilità di un modello di sviluppo ha a che fare con la quantità di capitale fisico, sociale, naturale e umano che ogni generazione trasmette alla generazione successiva; quindi effettivamente ormai, nonostante il rischio di abuso di cui lei parla, penso che il concetto sia stato almeno definito in modo chiaro.

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Quali possono essere i mezzi e le strategie più efficaci affinché si generi una maggior sensibilità, una sensibilità condivisa nei singoli a queste tematiche, che sono dunque estese oltre il problema ambientale?

Abbiamo creato l’ASviS, l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile, proprio per sostenere in Italia l’applicazione dell’intera agenda 2030, di tutti i 17 goals e i 169 targets che vanno dalla povertà alla pace, alla violenza, alle disuguaglianze, all’educazione alla salute, alle tematiche ambientali, ma riguardano anche l’occupazione e la crescita del benessere. Noi di ASviS abbiamo sposato proprio questa logica nel rapporto che è stato presentato il 28 Settembre alla Camera dei Deputati, e che è accessibile sul sito www.asvis.it. Ecco, queste 126 organizzazioni della società italiana che formano ASviS, rappresentano complessivamente più di duemila associati che si sono messi insieme per delle proposte molto concrete. Per esempio abbiamo suggerito di inserire il principio di sviluppo sostenibile nella parte prima della Costituzione, come è stato fatto in Francia e come è stato fatto in Svizzera, perché, se lo sviluppo sostenibile deve guidare non solo le politiche ma anche i comportamenti dei singoli e delle imprese, trovo questo uno dei principi cardine su cui vogliamo che si basi tutto, quindi anche le future leggi. Abbiamo inoltre proposto che il Presidente del Consiglio prenda in mano l’agenda complessivamente, trasformando il comitato interministeriale per la programmazione economica in un comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile proprio per marcare un cambiamento di paradigma, in cui non ci si concentri soltanto sulla crescita economica. E poi ci sono altre iniziative istituzionali tra cui l’avvio di una campagna informativa continua su questi temi, ma soprattutto l’educazione allo sviluppo sostenibile nelle scuole. Per questo siamo in contatto con il MIUR per sviluppare dei programmi in tale direzione. È importante che le università italiane, tramite la conferenza dei rettori, abbiano creato la rete delle università per lo sviluppo sostenibile, volta non solo ad applicare i principi di sostenibilità alla mobilità degli studenti, ma che condivide anche una strategia a tutto campo che ha a che fare con la ricerca e con i programmi didattici. Per ciò che riguarda invece le proposte di politiche concrete, queste sono articolate intorno a sette assi: il primo asse ruota intorno al cambiamento climatico e all’energia, il secondo riguarda le disuguaglianze, non solo di reddito o di ricchezza ma anche di accesso, di opportunità e di genere, il terzo asse riguarda l’innovazione e il lavoro, il quarto asse ha a che fare con il capitale umano (che vuol dire salute, istruzione stili di vita), il quinto riguarda il capitale ambientale e quindi le dimensioni ambientali, poi ancora le città, le infrastrutture, il capitale sociale e infine la cooperazione internazionale.

Esiste una differenziazione a livello strategico nel loro coinvolgimento alle politiche sostenibili? Qual è il loro ruolo sia in termini ricettivi che attivi?

Le rilevazioni che sono state fatte in Italia (ma non solo), mostrano come i giovani siano molto più ricettivi su queste tematiche, hanno molto più la consapevolezza dell’interdipendenza nel nostro Paese rispetto ad altri Paesi, e sono più sensibili ai temi della sostenibilità ambientale. Trasformare tutto questo in azione è credo uno dei grandi interrogativi che le società in particolare occidentali hanno, perché è evidente che questo nuovo paradigma non promette necessariamente umori meravigliosi e per definizione migliori del passato.

Questo è un cambio importante. Vuol dire passare da un concetto di crescita quantitativa a uno di benessere anche qualitativo. Però è evidente che in questa prospettiva la disoccupazione giovanile, che in Italia è così alta, non aiuta, anzi taglia le gambe a quella che sappiamo essere la generazione più istruita che questo Paese abbia mai avuto. Quindi come riuscire a coinvolgere i giovani è uno dei temi anche per l’ASvis  e stiamo prendendo contatto in particolare con associazioni studentesche e soggetti che mettano i giovani sul mercato del lavoro, per coinvolgerli attivamente, non semplicemente come ricettori, ma come attivi partecipanti. Ieri a Ferrara sono stato molto lieto che il teatro fosse pieno di giovani interessati e anche al termine dell’incontro ho avuto modo di conversare con loro. Insomma credo che questa, essendo un’agenda per il futuro, sia un’agenda che le giovani generazioni debbano usare per cambiare un modello di vita insostenibile.

Lei ritiene che oggi si possa parlare di un’etica della sostenibilità?

Sempre di più ci sono persone che a causa della crisi di questi anni hanno scoperto di consumare in modo superfluo. E questa è una ragione per cui, in Italia e non solo, gli stili di consumo stanno cambiando. Certamente negli altri Paesi europei c’è una disponibilità molto maggiore, per esempio per una mobilità non basata sul mezzo privato. Nelle città italiane il mezzo privato è ancora considerato fondamentale; in quelle spagnole, danesi, nel nord Europa, sono invece considerati prioritari altri strumenti, in nome di una condivisione dei mezzi. Quindi è molto difficile dare giudizi in modo così generalizzato. L’ultima considerazione da fare è che molte imprese stanno effettivamente cambiando approccio. Alcune si stanno facendo semplicemente un new dressing: usano cioè il concetto di ‘sviluppo sociale’ o ‘sostenibilità’ come uno specchietto per le allodole in termini pubblicitari; molte altre invece hanno intrapreso veramente delle trasformazioni importanti. Il fatto che a fine anno finalmente l’Italia dovrebbe recepire la direttiva europea per la rendicontazione non finanziaria (cioè l’obbligo per le imprese di rendicontare attraverso bilanci che non guardino solo alle dimensioni economiche, ma anche a quelle sociali e ambientali) può aiutare a cambiare questa cultura. Dicevo, molto sta cambiando ma troppo lentamente perché il tempo che abbiamo davanti per cambiare modello di sviluppo non è molto, prima di avere il collasso di alcuni sistemi.

Concludiamo con una questione che ci è (ovviamente) cara: che cosa pensa della filosofia? Ritiene che possa predisporre l’apertura mentale giusta per accogliere ed anche attuare delle politiche più consapevoli?

Quand’ero ragazzo, dovendo scegliere che facoltà frequentare, l’alternativa era tra Filosofia ed Economia. Alla fine scelsi Economia, ma ritenendo che l’economia (soprattutto moderna) non debba essere pura matematica applicata attraverso modelli rigidi, ma che la componente umana sia assolutamente fondamentale per capire comportamenti e movimenti che nella società sono molto più profondi di quelli insiti nei modelli economici. Se filosofia vuol dire la riflessione sui fini ultimi dell’uomo, della società, e vuol dire anche l’elaborazione di modelli che aiutino in modo più complessivo, olistico, a trattare le problematiche che oggi abbiamo davanti, indubbiamente la filosofia può contribuire a questo modello di sviluppo, a questo nuovo modo di concepire le relazioni tra economia, ambiente e società, e soprattutto a rendersi conto che i singoli non sono tali ma sono sempre parte di una società che è viva, che evolve ma non necessariamente nella direzione giusta. Quindi tutti sono chiamati a contribuire a questo sforzo di portare il mondo su un vero e proprio sentiero di sviluppo sostenibile.

 

Dalle parole di Giovannini si evince quindi il volere di unire un forte spirito umanistico a politiche economiche e sociali concrete per cambiare il modello di sviluppo che conosciamo oggi. Importante è anche la visione di sostenibilità che comprende tantissimi ambiti interconnessi tra loro: dall’ambiente in primis, all’istruzione, alla salute, al lavoro. Non bisogna pensare di cambiare singoli ambiti della nostra vita, ma di cambiare il nostro modello di vita affinché sia più sostenibile in tutti i sensi e garantisca maggiore giustizia e inclusione sociale. Le premesse e le volontà popolari sembrano esserci, come testimonia la nascita di Asvis. Ora la palla, come sempre, passa alla politica.

Tommaso Meo

[Le immagini sono tratte da Google Immagini e da www.onuitalia.com]

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