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“La filosofia consiste nei fatti”: parola di Lucio Anneo Seneca

 

Anche oggi, come ogni anno, le pagine dei maggiori social network si sono riempite di notizie, articoli, commenti relativi alla seconda delle prove con cui i maturandi sono chiamati a confrontarsi al termine del quinto anno. La maggior parte delle parole dedicate alla prova di traduzione dal latino o dal greco antico viene spesa a proposito della difficoltà linguistica del testo somministrato. Non mancano mai indagini pseudo-statistiche sulla veridicità di previsioni e vaticini.

Soprattutto quest’anno però non è il caso di soffermarsi tanto sulle asperità o sulla linearità del latino di Seneca, quanto più sul senso di parole la cui misura risiede nella loro propria lapidarietà: la filosofia è un’indagine, una ricerca che si traduce nella prassi con cui l’essere umano abita il mondo. La speculazione attorno alle domande che custodiscono il fine ultimo dell’esistenza umana, i discorsi attorno a concetti come essere, bene, virtù, significato, senso (ma la serie potrebbe continuare ad libitum) sono in fondo una messa in forma dello stesso umano che li pratica. Ciò che la filosofia offre all’umano è una scansione ragionata della propria vita, cioè un’esistenza secondo ragione: essa permette alla persona umana di solcare il mare della vita, le cui acque non sono prive di insidie, confortati dal legno d’una barca piccioletta1 e al tempo stesso mirabile. Le parole di Seneca sembrano dunque accadere opportunamente, indicando la via verso una forma di vita consapevole: agli studenti che hanno dovuto tradurle, dicono che la loro maturità consisterà nel saper adottare una postura critica e autentica nei confronti del mondo; a chi ha già lasciato la scuola secondaria da qualche tempo, invece, ricorda che la conoscenza del mondo e del suo senso non può essere raggiunta se non vivendo in esso, ordinatamente, ovverosia secondo ragione.

Vi lasciamo a questo punto al testo di Seneca, tratto dalla lettera XVI delle Epistulae morales ad Lucilium: immergiamoci in quelle parole così significative che ci provengono da oltre due millenni di distanza, scritte da un grande mentore al suo amico. Per un momento diventiamo anche noi Lucilio.

«La filosofia non è un’arte che cerca il favore popolare e non è fatta per essere ostentata; non consiste nelle parole, ma nei fatti. Di essa non ci si vale per far trascorrere piacevolmente le giornate, per eliminare il disgusto che viene dall’ozio: educa e forma l’animo, regola la vita, governa le azioni, mostra ciò che si deve o non si deve fare, siede al timone e dirige la rotta attraverso i pericoli di un mare agitato. Senza di lei nessuno può vivere tranquillo e sicuro; in ogni momento si presentano innumerevoli circostanze che esigono una direttiva, e questa bisogna cercarla nella filosofia.
Qualcuno dirà: “A che mi giova la filosofia, se esiste il fato? A che, se c’è un dio che ci governa? Ache, se il caso detta legge? Non si possono mutare gli eventi prestabiliti, né difendersi contro quelli incerti, ma o un dio è padrone delle mie decisioni e ha stabilito che cosa devo fare, o la sorte non mi concede nessuna decisione”.
Qualunque di queste forze esista, anche se esistono tutte, caro Lucilio, bisogna dedicarsi alla filosofia: sia che il destino ci vincoli con la sua legge inesorabile, sia che un dio, arbitro dell’universo, abbia disposto ogni cosa, sia che il caso sospinga e muova disordinatamente le vicende umane, deve proteggerci la filosofia. Ci esorterà a obbedire di buon grado a dio, e con fierezze alla sorte; ci insegnerà a seguire la volontà di dio, a sopportare il caso2».

Emanuele Lepore

NOTE:
1. L’espressione è dantesca: cfr. Paradiso, Canto II.
2. Riportiamo qui la traduzione di Caterina Barone, riportata dall’edizione che delle Lettere a Lucilio offre la Garzanti, Milano 2011.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

 

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