La nascita dell’Italia repubblicana e democratica, capitolo glorioso della nostra storia, scritto con il sangue della Resistenza e spesso raccontato esaltando il solo protagonismo maschile, in realtà, ha preso forma anche grazie al contributo delle donne, autentiche architette della democrazia. Pertanto, il 2 giugno, anniversario della nascita della Repubblica, è giusto e doveroso ricordare anche il ruolo svolto dalle donne nel processo di costruzione della nostra Repubblica democratica.
Durante la Resistenza furono partigiane, staffette, infermiere: un esercito tenace che, rischiando la vita, contribuì in modo decisivo alla liberazione dal regime nazifascista. Secondo i dati ufficiali dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, circa 35.000 donne militarono attivamente nella Resistenza e oltre 600 di queste furono fucilate o impiccate dai nazifascisti. Quell’esperienza di lotta civile rafforzò in loro consapevolezza, fierezza e determinazione. Combattendo a fianco degli uomini, fecero vacillare il pregiudizio dell’imbecillitas sexus, dell’inferiorità del sesso femminile; dimostrarono, con coraggio e sacrificio, che il loro valore andava ben oltre i confini domestici e che la nuova Italia da ricostruire esigeva il loro contributo, la loro visione, la loro partecipazione politica e istituzionale.
La svolta arrivò con il decreto Bonomi n.23 del 1945, una netta frattura con il passato: per la prima volta nella storia d’Italia, le donne ottennero il diritto di voto, poi consacrato nell’Articolo 48 della Costituzione, che, riconoscendo il pieno esercizio della cittadinanza femminile, afferma: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne». E quando, finalmente, fu il momento di costruire l’Italia democratica, il 2 giugno 1946, ventuno di loro, le Madri Costituenti – un numero esiguo, ma dal valore storico inestimabile – sedettero tra i banchi dell’Assemblea costituente, e cinque di loro, Nilde Iotti, Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Penni Buscemi, fecero parte della Commissione dei 75, incaricata di redigere il testo della Costituzione.
Provenivano da diverse formazioni politiche, dalla Democrazia Cristiana, dal Partito Comunista Italiano, dal Partito Socialista e dal Partito d’Azione, ma erano unite dall’unanime volontà di porre le basi di una società più giusta ed equa, legittimando nella Carta fondamentale i principi di uguaglianza e parità tra i sessi. Così, consapevoli che la libertà conquistata con la Resistenza sarebbe rimasta incompiuta senza una reale emancipazione delle donne, fecero dell’aula costituente un laboratorio di democrazia sostanziale.
In questa prospettiva, l’Articolo 3 divenne la colonna portante della Costituzione, grazie anche al decisivo intervento di Nilde Iotti e Lina Merlin. Le parole solenni: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali» portano il segno della loro lungimirante visione politica. Fu infatti per loro merito che si introdusse l’espressione «senza distinzione di sesso», che stabilisce con forza l’uguaglianza tra uomini e donne come principio cardine della neonata Repubblica.
Fu Teresa Noce a contribuire all’elaborazione dell’Articolo 29 che, sancendo «l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi», spezzò le catene secolari della subalternità femminile e pose le basi per l’approvazione del divorzio del 1970 e della riforma del diritto di famiglia del 1975, con cui si superò la concezione del marito come unico capofamiglia.
Angela Gotelli si impegnò per far sì che con l’Articolo 31 si tutelasse la maternità e il diritto delle donne a poter conciliare la carriera professionale con la scelta di diventare madri.
Maria Federici fu la promotrice dell’Articolo 34, che, affermando che «la scuola è aperta a tutti», garantisce il diritto all’istruzione alle donne, quale fondamentale strumento di emancipazione personale e sociale.
Teresa Mattei contribuì alla stesura dell’Articolo 37. La formula «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore» è diventata la bandiera di intere generazioni di donne che hanno lottato per la parità dei diritti sul lavoro fino all’approvazione della legge sulla parità salariale del 1977.
E fu infine Ottavia Penna a volere ratificare nell’Articolo 51 il principio secondo cui «tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza», primo passo verso la rappresentanza femminile nelle istituzioni.
Oggi, a distanza di oltre settant’anni dalla promulgazione della Costituzione, il cammino verso l’effettiva parità di genere non è ancora concluso. Le donne italiane continuano a lottare contro il gender gap, la violenza di genere e la ridotta partecipazione ai vertici della politica e dell’economia. Come sottolinea Annachiara Valle, «la democrazia ha bisogno di cure. L’uguaglianza e la parità sono beni da custodire e promuovere con determinazione» (A. Valle, Le donne della Repubblica, Edizioni San paolo, Milano 2022, p. 218). Pertanto, il lascito delle Madri Costituenti va ben oltre gli articoli della Costituzione: è l’esortazione all’impegno per la piena attuazione dei principi in essi sanciti e promulgati.
NOTE
[Photo credit Michele Bitteto via Unsplash.com]