I recenti sviluppi dell’IA generativa (algoritmi capaci di generare contenuti inediti, quali immagini, video, testi o melodie) hanno sollevato negli ultimi anni una serie di interrogativi circa la natura della creatività. Un algoritmo di IA può dirsi creativo nello stesso modo in cui lo si direbbe di un essere umano? Cos’è realmente la creatività?
Seguendo Henri Poincaré1 e Umberto Eco2, possiamo concettualizzare la creatività come una combinatoria inedita di elementi preesistenti. Il nuovo, anziché provenire dal nulla, è già inscritto nella materia preesistente. L’atto creativo, combinando questa materia in modi sempre nuovi, non fa altro che svelare e portare alla luce ciò che era già contenuto in potenza nel mondo. In effetti, i prodotti di questi algoritmi non sono una semplice copia del materiale sul quale sono stati addestrati, bensì ne costituiscono una ricombinazione originale. L’algoritmo non analizza i dati per memorizzarli, come farebbe un archivio digitale, ma vi individua pattern, correlazioni e schemi ricorrenti, che vengono codificati in funzioni matematiche. In questo modo, il modello generativo non replica qualcosa che è già presente nel dataset originale, ma combina in modi nuovi gli elementi presenti nei dati iniziali. Individuando pattern nascosti nei dati – spesso invisibili all’essere umano – e combinandoli in modi inediti, le macchine mostrano sia una capacità combinatoria, sia, seguendo il filosofo della tecnologia Mark Coeckelbergh3, una capacità “poietica” che rivela ciò che era già contenuto in potenza nel dataset. In questa prospettiva, la “creatività artificiale” sembrerebbe analoga a quella umana, tanto da suggerire che la creatività non sia una prerogativa degli esseri viventi, né tantomeno dei soli esseri umani.
Tuttavia, vale la pena analizzare alcuni aspetti solitamente trascurati, che sembrano invece tracciare una differenza sostanziale tra creatività umana e artificiale. Un primo aspetto riguarda la dimensione dell’intenzionalità. Lo stesso Eco sottolinea che l’atto creativo non si esaurisce nella semplice combinazione, ma implica soprattutto la capacità di arrestarsi consapevolmente sulla soluzione ritenuta più adeguata. Questo atto di scelta, secondo il semiologo, è fondamentale, poiché distingue la creatività umana da quella meramente meccanica. Se infatti la creatività fosse riducibile unicamente a una capacità combinatoria, anche la natura sarebbe definibile creativa. Al contrario, la creatività umana come atto autonomo, arbitrario e intenzionale, risiede proprio nella capacità di decidere in quale punto arrestare la ruota combinatoria, ossia sull’alternativa considerata migliore. L’aspetto dell’intenzionalità si lega pertanto a un secondo elemento, quello dell’esperienza soggettiva. Chi crea fa esperienza diretta del processo creativo e di ciò che questo produce, attraverso un mondo interno che la macchina non sembra possedere. In ambito artistico, la soggettività fa capo a un modo di intendere l’arte come espressione di sé piuttosto che come mìmesis, imitazione. È per questi motivi che è possibile individualizzare i prodotti creativi umani, ricondurli a un autore o autrice e alla sua coscienza individuale unica e irripetibile, anche quando questa fosse una pura manifestazione della propria cultura di appartenenza. Gli algoritmi, pur non producendo mere copie dei dati di partenza, sembrano invece essere caratterizzati da una tendenza emulativa anziché da una finalità espressiva di un sé che non sembrano possedere. Il processo creativo umano è inoltre situato in un contesto spazio-temporale e presenta dunque una dimensione intersoggettiva, costituita da soggetti in relazione, condizioni culturali e significati condivisi. Al netto di teorie eliminativiste4 o comportamentiste5, l’IA non sembra avere accesso al significato di ciò che “vede” e di ciò che “produce”, né sembra disporre di un intento comunicativo. Il prodotto creativo umano è invece in grado di ridefinire un immaginario, di esercitare una capacità narrativa che trova il suo fondamento in una dimensione semantica e, pertanto, intersoggettiva.
L’idea di una creatività artificiale rischia di oscurare la cifra della creatività stessa: la capacità di esprimere il singolare, di riflettere un vissuto, di attribuire significato all’esperienza, di contribuire alla costruzione di immaginari condivisi. Proporre una demarcazione tra creatività umana e combinatoria artificiale non inficia l’interesse rispetto agli output generati dall’IA. Piuttosto, evidenzia come queste nuove forme di produzione ci interrogano sul nostro rapporto con la soggettività.
Francesca Campione & Eleonora Catena
Francesca Campione, romana, ha una laurea magistrale in filosofia e attualmente vive e lavora a Roma come dottoranda di ricerca.
Eleonora Catena viene da Roma, ha studiato filosofia e scienze politiche, e al momento sta conseguendo un dottorato in Germania.
L’articolo prende spunto da un paper del quale sono co-autrici pubblicato sulla rivista “Sitemi Intelligenti” .
NOTE
1. Cfr. H. Poincaré, Science et Méthode, Flammarion, Paris 1908.
2. Cfr. U. Eco, Combinatoria della creatività, in Conferenza tenuta a Firenze per la Nobel Foundation, 2004.
3. Cfr. M. Coeckelbergh, Can Machines Create Art?, in “Philosophy & Technology”, 30, 2017, pp. 285-303.
4. Sostengono che i concetti psicologici di senso comune, come “credenza” o “comprensione”, siano questioni fittizie che andrebbero escluse dall’analisi scientifica, poiché non adeguatamente definibili e misurabili oggettivamente.
5. Negano la rilevanza degli stati mentali inosservabili, analizzando unicamente il comportamento osservabile.
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