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La seduzione della contraddizione

Se, come ho scritto tempo fa in Il peggior vizio filosofico qui su La chiave di Sophia, un pessimo vizio per qualsiasi pensiero filosofico è la perdita di quello sguardo curioso e innocente nei confronti del mondo, un vizio forse altrettanto grave è il sommario giudizio semplicistico che si trae di fronte a situazioni complesse solo per averne un subdolo tornaconto. Mi spiego meglio.

A chi avrà frequentato qualche facoltà di filosofia, o partecipato a qualche conferenza o letto qualche libro magari non proprio ben pensato, sarà parsa l’idea che in fondo anche per i filosofi il mondo è troppo difficile da interpretare, soluzioni definitive non ce ne sono, la cosiddetta ricerca è sempre aperta, la verità non la conosce nessuno, ecc. Ordinaria amministrazione di scenari post-moderni.

E anche se scavando un po’ in profondità e ripercorrendo le strade che poi vengono malamente riassunte in quelle massime spicciole, un certo senso quelle frasi possono anche averlo, è vero che le apparenti conclusioni scomode per i filosofi, cioè quelle aperte e sconclusionate, si rivelano in realtà a vantaggio loro e del loro ego. Ma come?

Si pensa sempre che i cosiddetti filosofi vogliano far pensare le persone per poterle portare a conclusioni o a prospettive nuove rispetto al modo di ragionare e di vivere comune. Certamente questo compete i migliori filosofi e non chiunque sia bravo a parlare. Il punto però è che spesso anche notevoli menti cascano in uno stanco discorsetto come quelli citati sopra ma solo perché, alla fin fine, nella confusione mentale generata saranno sempre loro ad essere cercati e presi a riferimento: prima ti confondo le idee, così poi verrai da me per cercare ordine.

L’intero non-sapere post-moderno funziona in modo simile: non potendoci essere un sapere stabile, un riferimento certo, sembra di aver raggiunto il punto vero di tutto il percorso culturale dall’antichità a oggi. E quindi di aver fatto un passo verso la verità, verso la sincerità della conoscenza, contro a dogmi, campanilismi, saperi obsoleti.

Al contrario però, chi si muove in quella direzione troppo facilmente non sta facendo altro che riporre tutto ciò che vorrebbe oltrepassare (verità, sapere, riferimenti) dentro se stesso anziché nel mondo. Affermare orgogliosamente che la realtà, ad esempio, è contraddittoria perché non può darsi alcuna verità assoluta che la ordini e che dunque ogni prospettiva intrapresa è ugualmente legittima, comporta inevitabilmente un giudizio di verità su quello che sto dicendo. E quindi sulla mia persona.

Nel momento in cui ogni riferimento si perde e la lancetta della bussola del mondo gira a vuoto, sarò sempre io – che ho contribuito a creare questa situazione – ad essere ricercato e interrogato, proprio grazie a quel grado di verità che comunque ho trasmesso in precedenza e che ho attribuito a me stesso. In questo modo, si compie perfettamente la congiunzione tra relativismo (solo le prospettive individuali e parziali hanno valore reale) e individualismo (dunque, io valgo perché a valere è la mia opinione). Non sapendo interpretare ciò che ho fuori, riempio me stesso: così pensa l’accentratore di pensiero di oggi, che però dimostra di avere alle spalle un deserto conoscitivo notevole.

Lo sforzo del pensiero deve sempre essere quello di giungere alla massima conclusione possibile, alla spiegazione profonda di ogni parte che sentiamo riguardi ciò di cui ci occupiamo, di superare le contraddizioni apparentemente invalicabili a costo di dover poi tacere, di non aver quasi più da pensare: un peso che smettesse di cadere all’infinito smetterebbe di essere un peso, diceva Michelstaedter, smetterebbe di essere se stesso. E così, giungere a un punto fermo del pensiero, non cedere alle seduzioni facili che ci lasciano sempre galleggiare in opinioni comode per la nostra sopravvivenza, deve poter far riflettere anche alla possibilità di non pensare più, di uscire temporaneamente dal proprio essere. Bisogna imparare a «parlar grande o tacere» diceva Nietzsche. Bisogna imparare a star dritti sulla schiena del rigore, anziché cedere (troppo) alle seduzioni facili.

 

Luca Mauceri

 

[Immagine tratta da Google Immagini]

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Luca Mauceri

ironico, sognatore, procrastinatore

Sono nato e cresciuto a Treviso, ora vivo e lavoro a Padova. Mi sono laureato in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dopo essermi appassionato di filosofia antica e contemporanea. Ho pubblicato il saggio La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino (Orthotes) e quando non passeggio o ascolto musica, scrivo articoli e racconti per […]

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