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C’è stata una rivoluzione? E io non ne sapevo niente!

La fame di informazioni è uno degli elementi che meglio rappresenta il nostro tempo. Se in passato essere nel mondo significava conoscere il francese e viaggiare in Europa, oggi bisogna essere informati: chi non ascolta le notizie viene scoperto come ignorante, ed emerge subito la vergogna.
Così, per schivare l’onta e salvare l’onore, si cerca di ingurgitare per intero tutto ciò che accade sul globo terraqueo, per poterlo poi sfoggiare al momento opportuno.
Tuttavia, l’effetto di tale flusso incontrollabile di notizie è proprio la dimenticanza, cioè l’incapacità di selezionare, accogliere, elaborare le notizie e ciò che rappresentano; così semplicemente si rimuove il significato degli eventi, e ne rimane solo l’involucro, il fatto. Se quindi l’obiettivo è essere informati quanto più possibile su ciò che accade, quel che si ottiene è la perdita del senso, per cui vale la pena sapere qualcosa.

Le notizie sono come l’acqua: dovrebbero irrigare gli animi, far rifiorire propositi nuovi, l’esultanza contro le ingiustizie; quando, però, si avventano su di noi con la prepotenza di un’inondazione, lasciano dietro di sé spiriti rasi al suolo. Le notizie devono poter fluire liberamente, perché siano nuovi stimoli, e non macigni.
È bene quindi raccontare di quegli eventi solo sussurrati, non per aggiungere acqua alla tempesta, ma per avere occhi nuovi sul mondo.
Questo maggio 2018, mentre l’Italia non sapeva che cosa fare di se stessa, l’Europa galleggiava a malapena nel mare dell’immigrazione, e Trump preparava il suo viaggio in Corea del Nord, in Armenia il popolo l’aveva vinta, con quella che è stata definita la rivoluzione di velluto.

L’Armenia è una nazione minuscola, imprigionata fra la Turchia, la Georgia, l’Iran e l’Azerbaigian, con una storia unica nel suo genere, raccontata in una lingua che esiste solo in quel quadrato di mondo.
Fra l’aprile e il maggio del 2018, il popolo armeno si è ribellato al Primo Ministro Serzh Sargsyan che, dopo dieci anni di promesse non mantenute, aveva fatto approvare una legge ad hoc, per continuare a governare, nonostante la conclusione del suo mandato.
Il popolo armeno, sotto la guida di Nikol Pashinyan, giornalista dissidente e condannato per le sue idee politiche, ha manifestato nelle piazze, fino a quando Sargsyan non ha dato le dimissioni.
La rivoluzione di velluto armena è stata una presa di posizione non violenta, in cui non una sola goccia di sangue è stata versata, e la gente ha trasformato le sue frustrazioni in un momento di potere.
Gli scettici che leggeranno di tale notizia avranno ragione nel pensare che, anche se la rivoluzione è stata mossa dalle migliori intenzioni, c’è sempre stato il rischio che l’esercito prendesse le armi. È vero, ma non è accaduto. «Quanto durerà ancora il favore del popolo verso il nuovo governo, nato dalla rivoluzione?» diranno ancora gli scettici, sottintendendo la risposta. Nessuno lo sa, staremo a vedere.

Invece, i romantici e gli idealisti penseranno che è davvero possibile il cambiamento politico, e che nulla è perduto. Nemmeno questo si può sapere, il rischio è di perdersi in considerazioni senza valore.
Di fatto, la rivoluzione di velluto dell’Armenia insegna due cose fondamentali: in primis, che la maggior parte degli occidentali non aveva la benché minima idea che, molto più vicino all’Europa di quanto pensassero, è avvenuto quel cambiamento politico che molti paesi dell’Unione desiderano. Nel flusso incostante di notizie, la dimenticanza ha avuto la meglio.
In secondo luogo, la rivoluzione di velluto armena insegna che il popolo ha davvero potere politico.
Non importa, come diranno gli scettici e i disillusi, che tutto nasce dalla frustrazione, e ogni effetto benefico svanirà presto, perché questo è il ciclo in cui è imprigionata la storia umana; e non importa, come sosterranno gli idealisti, che una rivoluzione non violenta e di successo non deve mai mancare di coscienza e virtù. Ciò che importa è che il popolo armeno, arrabbiato o idealista che fosse, ha dimostrato, prima di tutto a se stesso, che ha potere politico, che si esercita attraverso la potenza decisionale, l’azione, il fatto concreto.
La notizia della rivoluzione di velluto in Armenia non va presa per intero, così come è accaduta, per ingoiarla insieme alle altre. Essa va ricordata, perché una nazione piccolissima ha dimostrato che il potere politico è potenza di cambiamento. Un’azione efficace non è violenta, ma è fatta di resilienza e cocciutaggine.

Quando si chiede ai giovani armeni quali siano stati gli effetti benefici della rivoluzione, rispondono che il più grande cambiamento non è solo politico, ma è nella mentalità. Gli armeni, i perseguitati e i dimenticati, si sono riscoperti potenti, responsabili e liberi, e sanno che il loro intervento, a livello politico, non è un gesto indifferente, ma è decisione.
La notizia della rivoluzione di velluto armena va diffusa, non per amor di cronaca, ma perché sia esempio, per chiunque desideri un mutamento, che è possibile.
Come andrà a finire, si vedrà.

 

Questo articolo, buono o cattivo che sia, non sarebbe stato realizzato senza l’aiuto di ragazzi armeni che hanno voluto condividere con me il loro entusiasmo, le loro idee politiche e la loro visione della realtà. Ringrazio Gor Nazaryan, per la sua precisa cultura politica, Gohar Shaljyan, e più di tutti Ani Barseghyan, a cui dedico questo pezzo, e senza la cui amicizia una parte della mia vita sarebbe stata smarrita, e molto noiosa.

 

Fabiana Castellino

Fabiana Castellino è nata nel 1990 in Sicilia.
Si è laureata in Scienze filosofiche con lode, all’Università di RomaTre, con una tesi su Arthur Schopenhauer.
Ha maturato diverse esperienze nell’educazione dei bambini, prima con disabilità, e adesso svolge un progetto di volontariato europeo presso una scuola Steineriana in Belgio.
La lettura e la scrittura le sono state compagne sin da bambina, e l’hanno sempre guidata nelle sue scelte, professionali e di vita.

[Credits Sarah Loetscher su pixabay]

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