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Perché il femminismo fa paura: la linea sottile tra oppressi ed oppressori

Sembra un argomento molto di moda, tra celebrità che prendono posizione, campagne contro la violenza di genere e battaglie linguistiche su termini come femminicidio o sindaca. Insomma, negli ultimi anni si parla più del solito di femminismo.

Ma se i toni del dibattito pubblico e da social sono accesi, nella conversazione privata questo rimane un argomento spinoso, sul quale per molti è difficile farsi un’opinione e prendere una posizione: questo dà il via a tutta una serie di specificazioni linguistiche (“non sono femminista, sono anti-sessista”) e concettuali (da “non tutti gli uomini sono maschilisti!” a “anche le donne compiono violenza sugli uomini!”). Specificazioni volte a chiarire che in ogni caso stiamo dalla parte dei “buoni” − dato che nessuno vuole essere considerato maschilista − ma allo stesso tempo che non ci riconosciamo come femministi/e.
Nel dubbio, o in maniera deliberata, cerchiamo una soluzione intermedia che ci permetta di stare in equilibrio tra due posizioni scomode. Dopotutto la virtù sta nel giusto mezzo, lo diceva anche Aristotele.

Eppure Aristotele sosteneva anche il principio logico del terzo escluso: ovvero, data una coppia di proposizioni logicamente opposte (detta coppia antifàtica), esse devono necessariamente avere valore di verità opposto. Nel senso che se una è vera l’altra è inevitabilmente falsa, e viceversa. Se sei qui non sei lì, se hai detto una cosa non puoi non averla detta, se sei vivo non sei morto, ecc… senza che si dia una terza possibilità intermedia.

Quando si parla di femminismo ci sentiamo costretti a scegliere tra due posizioni antagoniste ugualmente ideologiche: spesso infatti si pensa (erroneamente) che se maschilismo significa misoginia, allora femminismo significhi misandria. Quando in realtà il movimento femminista, nonostante racchiuda in sé molte scuole di pensiero diverse, a volte anche in contrasto l’una con l’altra, nella sua essenza rivendica solo l’uguaglianza tra i generi. In altre parole: diamo per scontato che il contrario di una situazione di disuguaglianza sia un’altra situazione di disuguaglianza, ma a parti invertite. Dimentichiamo quindi che in realtà il suo opposto è appunto l’uguaglianza, la parità.

Detto così sembra scontato prendere le parti di chi promuove l’uguaglianza. Eppure, l’esistenza stessa di un movimento che la persegua mette a disagio: in effetti, accade la stessa cosa per i movimenti antirazzisti o pro diritti LGBTQ. Questo perché costringono ad accettare, come premessa logica, che ci sia un’ingiustizia. E l’ingiustizia divide il mondo in oppressi ed oppressori o, come li chiamerebbe Sartre, flagelli e vittime. Chi non fa parte della minoranza discriminata, ma rimane neutrale, sceglie automaticamente la parte dell’oppressore (parafrasando Desmond Tutu, attivista sudafricano contro l’apartheid).

Quindi, ammettere l’esistenza della discriminazione sessista non è facile o indolore. Non lo è né per gli uomini, perché li fa sentire sotto accusa, né per le donne perché le fa sentire vittime impotenti, o peggio, colpevoli di non ribellarsi: non a caso “Non ho bisogno del femminismo perché non sono una vittima” era uno tra gli slogan più ricorrenti della campagna online #WomenAgainstFeminism di qualche anno fa.

Davanti a questa prospettiva è più facile negare, sminuire o ridimensionare il problema. Ma non c’è soluzione intermedia che possiamo scegliere: è il principio del terzo escluso.

Di fronte al sopruso, la discriminazione, l’ingiustizia, l’essere umano è chiamato a compiere una scelta etica, un dilemma continuamente affrontato in secoli di storia. Ma dietro ad un problema complesso, c’è innanzi tutto un gesto apparentemente semplice: ammetterne l’esistenza è il primo passo, forse il più coraggioso.

 

 

Anna Merenda Somma

Anna Merenda Somma, Ravenna, classe 1990, da piccola voleva fare la disegnatrice Disney, poi l’arredatrice Ikea, poi la giallista e infine, alla costante ricerca di mestieri sempre più ardui, l’insegnante. A 14 anni scopre la filosofia ed è amore a prima vista, poi è la volta degli studi di genere, e l’amore si rinnova. Consegue la laurea in Scienze Filosofiche nel 2016 a Firenze, e da allora si occupa di identità di genere, femminismo, eteronormatività, queer theory, LGBTQ rights e altre cose difficili da pronunciare. Specializzata anche in procrastinazione e dolci bruciacchiati.

[Immagine tratta da Google Immagini]

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