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Non tutta l’ansia vien per nuocere

Nella società contemporanea, l’ansia sembra essere ovunque, soprattutto tra le ultime generazioni. Secondo alcuni studiosi, questo dipende anche dall’uso intensivo di smartphone e dispositivi digitali, che espone a un’iper-connessione sfiancante e a un’iper-esposizione asfissiante1. Chiunque ci sia passato, sa bene che l’ansia sa essere sfibrante, persino paralizzante, rischiando di erigere una barriera tra sé e gli altri, che non riescono a comprendere le ragioni per cui ci si faccia tanti problemi, anziché “viversela meglio”. Quante volte una persona ansiosa finisce allora per vergognarsi della propria condizione, facendo di tutto per tenerla nascosta, così da rendere ancora più pesante la convivenza con i pensieri intrusivi? 

Per cominciare a ridurre un simile stigma, e contrastare così anche la vergogna per l’ansia provata, un passo fondamentale da fare è riconoscere che essa, come tutte le nostre emozioni fondamentali, può essere anche una risorsa. L’ansia è quello stato d’animo che ha come oggetto l’incertezza strutturale della vita e guarda al corso degli eventi proiettandosi in avanti, esattamente al fine di premunirsi quanto più possibile da ciò che appare indecifrabile o minaccioso. Proprio in questo trovano alimento le sue potenziali virtù – ma andiamo con ordine. Innanzitutto, possiamo individuare tre forme principali di ansia, ciascuna legata a una diversa situazione di incertezza, a un diverso tipo di motivazione e un diverso tipo di reazione: ansia ambientale, ansia punitiva e ansia pratica2.

Ansia ambientale. È piena notte e siamo in un quartiere piuttosto malfamato: ogni angolo, ogni rumore improvviso può sembrare una minaccia per la nostra incolumità fisica. La realtà che ci circonda non sembra offrire certezze, sentiamo il bisogno di autodifesa e rispondiamo attivando meccanismi di fuga ed evitamento: cerchiamo di tenerci lontani da ogni pericolo.

Ansia punitiva. Siamo a una festa, con la costante sensazione di essere sotto osservazione e di venire valutati, facilmente in maniera negativa: ogni interazione, ogni smorfia non soppesata può farci fare una brutta figura, gettandoci nel ridicolo. Le altre persone sembrano pronte a stanarci e punirci emettendo la loro sentenza finale, sentiamo il bisogno di proteggere la nostra immagine e identità e rispondiamo attivando comportamenti deferenti e accondiscendenti: cerchiamo di adattarci e compiacere per ottenere un buon giudizio.

Ansia pratica. Dobbiamo decidere quale percorso di studi o quale direzione lavorativa intraprendere: ogni opzione ci sembra poco sicura, nessuna via sembra offrire abbastanza garanzie, non aiutando a capire in base a che cosa dovremmo scegliere. Le possibilità che si aprono appaiono equivalenti e vaghe, sentiamo il bisogno di individuare il criterio di scelta più adeguato e rispondiamo andando alla ricerca di ulteriori informazioni: cerchiamo di riflettere con la massima cura per non fare la cosa sbagliata.

Nonostante le apparenze, casi del genere ci mostrano come l’ansia possa avere un valore importante, sia sul piano strumentale sia sul piano morale. Da un lato, l’ansia può risultare utile per anticipare pericoli effettivi ed esiziali prima che essi possano diventare reali, a modulare un comportamento che potrebbe risultare eccessivamente sconveniente in termini sociali, o a ponderare al meglio una decisione rilevante. Dall’altro lato, l’ansia può essere addirittura una fonte di crescita tanto personale quanto collettiva. Personalmente, l’ansia può contribuire alla formazione del proprio carattere, per esempio affinando la sensibilità, la cura e la riflessività. Collettivamente, l’ansia può portare a non dare per scontati i criteri di scelta apparentemente più ovvi e indiscutibili, promuovendo un confronto critico e inclusivo – si pensi alla spinta a ripensare il nostro rapporto con l’ambiente legata alla cosiddetta “eco-ansia”. In breve, l’ansia può ricoprire un ruolo propulsivo.

Evidentemente, il potenziale positivo dell’ansia si sblocca quando si riesce a possederla, piuttosto che esserne posseduti. Diversamente, si viene sopraffatti e si fanno largo le tendenze paranoidi, legate al sospetto diffuso, alla sfiducia generalizzata, allo scetticismo radicale, e così via: la fuga diventa auto-ingabbiamento; la deferenza diventa schiavitù; l’acquisizione di informazioni diventa fonte di ulteriori incertezze. Il fatto è che, come ogni emozione, l’ansia è inevitabilmente ambivalente: può fungere da carburante per la nostra vita psicofisica, mettendoci in moto, dandoci energia e indirizzandoci, ma può anche bloccarci, svuotarci e sviarci.

Insomma, rivalutare l’ansia non significa celebrarla ingenuamente. Piuttosto, vuol dire riconoscere anche in essa tutte le sfaccettature e le ambivalenze della nostra umanità, intravedendo nei suoi contorni quelli di un possibile alleato. Un’alleata inquieta, ma pur sempre un’alleata – che sa fare proprio dell’inquietudine il suo punto di forza.

 

NOTE
1 Cfr. J. Haidt, La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli, Rizzoli, Milano 2024.
2. Mi rifarò in particolare a C. Kurth, The Anxious Mind: An Investigation into the Varieties and Virtues of Anxiety, MIT Press, Cambridge (MA) 2018.
[Photo credit Nik Shuliahin via Unsplash.com]

Giacomo Pezzano

Radical Candor, concettofilo, post-ironico

Se avessi un motto, sarebbe qualcosa come: “non conoscere le idee, ma avere idee!”. Faccio il ricercatore all’Università di Torino e negli anni mi sono occupato soprattutto di antropologia filosofica, filosofia critica e ontologia, cercando di tenere insieme il rigore della ricerca e il mordente della comunicazione. Ho scritto – in ordine sparso – post, […]

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