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La maschera di Pantalone

L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale.

Nel dibattito sui diritti dei lavoratori dipendenti che si ripete in Italia da diversi anni, questo aspetto viene volutamente posto in subordine. Eppure la chiave di comprensione del problema sta proprio tra le maglie delle norme, nei dettagli (eh già, là dove anche il diavolo mostra le corna). Il controverso articolo 18 dello statuto dei lavoratori, per esempio, prevede il reintegro nel posto di lavoro qualora un tribunale abbia accertato che il dipendente sia stato licenziato senza una giusta causa. Questa norma, quindi, non impedisce affatto di licenziare, ma di sicuro impedisce il licenziamento di un dipendente che fa attività sindacale. E’ tutto qua, ma è quello che non viene mai detto. E’ ciò che sta dietro le quinte. Il sindacato dice che senza l’articolo 18 si potranno licenziare le donne perché donne, gli omosessuali perché omosessuali e così via. I riformatori e gli imprenditori sostengono invece che così si potranno licenziare i fannulloni. Nessuna delle due argomentazioni è esatta: senza articolo 18 si potranno licenziare i rappresentanti sindacali dei lavoratori. Punto.

A chi fa filosofia (non c’è niente di più pratico della filosofia) interessa capire soprattutto ciò che accade dietro le quinte, anche a rischio di perdersi lo spettacolo sul palcoscenico. Ne vale la pena? Vale la pena fare la fila e pagare il biglietto per osservare la polvere negli angoli del teatro più delle luci stroboscopiche del palcoscenico? Sì, quasi sempre, ed in particolar modo quando lo show lo conosciamo a memoria. E infatti capita che anche a teatro ci si annoi e che volentieri si distolga lo sguardo dai costumi degli attori per sbirciare dietro la tenda. Fuor di metafora, nel caso dei diritti dei lavoratori, sul palco ci va la politica, gli attori cambiano nome nel corso delle legislature, ma il copione suggerisce sempre di ridimensionare i diritti per essere più competitivi sui mercati globali, agevolare assunzioni, pagare i debiti, far girare finalmente i soldi. I cattivi, nella rappresentazione cui stiamo assistendo, sono impersonati da sindacalisti anziani e rancorosi, la cui natura maligna mal si cela entro un sottobosco di privilegi. Dietro le quinte, alla cabina di regia, vediamo però che non ci sono i mercati, cioè i protagonisti dello scambio, ma solo una parte dell’economia, quella parte che al mercato rionale per esempio sta dietro al banco e che ci vende il prosciutto. E’ quella che bleffa mettendo il ditino sulla bilancia e magari sorniona ti dice: che faccio, lascio? Quella parte lì, quella che vuole vendere a prezzo competitivo per guadagnare più del banco vicino. E’ la stessa parte del mercato che qualche anno fa, alla faccia di Rocco Siffredi, ci raccontava che “piccolo è bello”, che il Nordest ha la giusta formula dell’economia (lavorare a testa bassa tutto il giorno) e che bisogna essere più flessibili per essere competitivi, mettendo in scena la legge Biagi col suo confuso quanto inutile coro di contratti a termine. E’ la stessa parte del mercato che a dispetto della Silicon Valley e della sua capitale Cupertino, non assumeva (e non assume!) laureati, perché chi studia nasconde una natura superba e malvagia. Allora come ora è infatti sempre molto meglio prendere in azienda il ragioniere del paese, l’amico della zia, quello che serve a messa come chierichetto, l’analfabeta del villaggio, ecc. ecc.

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Chi non si limita a studiare filosofia solo per l’esame, ma la indossa come abito quotidiano, non può tifare per gli attori buoni o per quelli cattivi (che tra l’altro spesso si scambiano i ruoli), ma farebbe bene a svelare a tutti ciò che ben si vede dietro le quinte: un regista Pantalone della commedia dell’arte, con tanto di culone e maschera dal naso fallico. Sì, proprio lui, quello che indossa un vestito di ombre nascondendo i suoi veri obiettivi. Dopo l’operazione di scendere nella caverna, Platone ci insegna che occorre pur risalire e raccontare quel che si è visto, anche se la luce brucia gli occhi ed anche se faceva comodo pensare che esistessero davvero i buoni e i cattivi della commedia. L’abolizione dell’art. 18 toglie dignità al lavoratore e al concetto stesso di lavoro, ma pare anche realistico che ciò consentirebbe alle aziende di abbassare gli stipendi e quindi (forse) di assumere di più. Oppure, e meglio ancora, l’abrogazione darebbe alla Banca Centrale la scusa necessaria per prestarci dei soldi e rimandare di un pochino la caduta. Sono risposte diverse, provvisorie e tutte importanti, ma ai filosofi tocca formulare sempre nuove domande.

Per esempio: è vero che senza articolo 18, più che licenziare, si elimineranno di fatto i sindacati e dunque si ridurranno gli stipendi? Così facendo si ostacola la produzione cinese, ma domani la contrazione del mercato interno ci farà concorrere alla pari anche con il mercato vietnamita? E dopo domani, nuovi provvedimenti di tal fatta permetteranno di reggere l’urto dei competitors pakistani, indiani, africani? I paesi col più alto tenore di vita al mondo (Olanda, Norvegia, Danimarca, Svezia ecc.) hanno mai fatto operazioni di questo tipo? Qualora non avessero fatto operazioni di questo tipo, come mai riescono ancora a vivere in un benessere diffuso? L’istituto della schiavitù in Europa consentirebbe ai nostri produttori di vincere finalmente la sfida della globalizzazione? E’ possibile per un popolo di sessanta milioni di individui produrre beni e servizi a minor costo di nazioni che superano il miliardo di abitanti? Si può realizzare benessere eliminando politica e sindacato, ma tenendoci imprenditori e dirigenti laureati coi corsi di youtube, quando va bene, e alla Bocconi quando va male? Gli imprenditori dei Paesi emergenti e dal Pil elevato, come Cina e Brasile, agiscono in regime di libero mercato o sottostanno a rigidissime norme di import/export imposte dai loro rispettivi Stati?

Come la storia della filosofia suggerisce, le domande chiariscono molto più delle risposte. Anche quando sono retoriche.

 

Massimo Bordin

Massimo Bordin è docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Scientifico di Conegliano Veneto (TV) dal 2007. Dopo essersi laureato in filosofia con Antonio Santucci alla statale di Bologna nel 1996 ha maturato una significativa esperienza come segretario della Funzione Pubblica Cgil a Belluno. Prima dell’abilitazione all’insegnamento ha esercitato il lavoro di pubblicista presso alcuni quotidiani e periodici locali. Attualmente accompagna all’attività di insegnante le ricerche di macroeconomia, analisi finanziaria e studio delle strategie.

[Immagini tratte da Google Immagini]

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