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L’Urlo di Munch e il grido degli “scartati”

L’Urlo di Munch compie 130 anni. Salvato, negli anni scorsi, dall’umidità che ne ha messo a rischio l’intenso cromatismo, l’opera continua a attrarre e a sorprendere, non solo per l’immenso valore e per ciò che rappresenta nella storia dell’arte. Munch dipinse L’Urlo per la prima volta, in una composizione da ritenersi del tutto embrionale, nel 1893. Un pastello su cartone. La versione definitiva, quella più celebre, fu realizzata nello stesso anno, sempre su cartone, con tecnica mista olio, tempera e pastello. Nel 1895 l’artista realizzò una terza versione, e nel 1910, una quarta.

L’opera, per l’impatto espressivo, per l’utilizzo magistrale dei colori, i segreti che custodisce, la narrazione esistenziale che riverbera, le sensazioni che provoca negli osservatori… è considerata dai più l’allegoria dell’uomo moderno, espressione della solitudine, di un contesto che non avverte più l’esigenza della mediazione, ma che vive il contrasto fra il sogno e la realtà, che vive la perdita dell’armonia con il cosmo, allo stesso modo in cui vive la perdita del rapporto con gli altri.
Nell’intenso linguaggio dell’immagine, l’artista vive e comunica un dolore universale. Il volto è divorato dall’angoscia e dallo smarrimento. Il tempo interiore trasfigura la realtà, le relazioni, la storia. 

Lo stesso movimento è reso da Franz Rosenzweig nel testo Il grido (1918). Nel colloquio fra anima e corpo il contrasto si concilia nel grido, «il grido che invoca eternità e unicità» (F. Rosenzweig, Il grido, 2003) e che rappresenta «il dramma che ha luogo in grande nella realtà fra uomo e mondo nel triangolo della creazione» (ivi).

Il grido è anche sotteso in tutta l’opera di Kierkegaard. Il filosofo esprime il disagio profondo di un’epoca che cercando la libertà si trova ad essere ingabbiata nei rigidi schemi di filosofie sistemiche e di progetti politici ed economici.
Anche in Dostoevskij si avverte il grido disperato dell’uomo che cammina su un sentiero di cresta tra due abissi: «la lucidità autodistruttiva dell’egotismo in un mondo senza amore o la mistificazione della santità in un mondo senza speranza» (P. Prini, Storia dell’esistenzialismo, da Kierkegaard a oggi, 1991).
In un certo senso, il grido è anche il mezzo figurativo del senso tragico della vita utilizzato da Nietzsche o da Sartre.

Nel pensiero moderno, con toni molto accentuati rispetto al passato, la realtà sembra sia avvertita in una sorta di radicale inconciliabilità con il sentimento di umanità.

Nel 2021, nel corso di alcune ricerche condotte in occasione del trasferimento dell’Urlo nel nuovo Museo nazionale norvegese, il dipinto rivelò ai ricercatori un nuovo segreto. Nell’angolo in alto a sinistra dell’opera del 1893, una iscrizione a matita, attribuita allo stesso artista, commenta: Can only have been painted by a madman (“Può essere stato dipinto solo da un pazzo”)Un “pazzo” che dopo 130 anni richiama ancora al senso di responsabilità. Mi riferisco alla responsabilità delle immagini nella società dell’immagine, ma anche alla responsabilità di tutti quei «gesti mancati» (E. Borgna, Le parole che ci salvano, 2017). Penso a quei passanti ritratti nel quadro che rimangono indifferenti alla scena. I “gesti mancati” sono quelle azioni che se avessimo compiuto avrebbero potuto dire la nostra capacità di partecipare alle gioie e ai dolori degli altri. Penso a una stretta di mano, un sorriso, un abbraccio.

L’Urlo svela così un nuovo registro ermeneutico. In esso Munch raffigura anche il grido di uomini feriti e oppressi; il grido dei più fragili, degli emarginatiLa responsabilità, le relazioni mancate e le scissioni, la sofferenza degli ultimi: ci sono anche questi temi nell’Urlo di Munch.

È forse venuto il momento di ritornare a sostare davanti a quest’opera, monumento e documento di un’epoca, abbandonando il punto di vista dell’uomo adulto, ostaggio delle contraddizioni e delle interruzioni della modernità, per ascoltare, invece, con attenzione e compassione, il punto di vista dei poveri e degli oppressi, dei folli e dei reietti, che continuano a gridare “fino a quando”. 

L’Urlo di Munch ci invita a posare lo sguardo sulle guerre, le malattie, gli abbandoni, sulle violenze e lo sfruttamento dei deboli, sulla dignità umana calpestata, per conoscere la storia e la memoria degli oppressi, degli umiliati, degli sconfitti, dei moribondi, troppo a lungo cancellata o repressa dalle narrazioni dei vincitori. Il soggetto di quest’altra storia sono tutti gli “scartati”. E per raccontare questa storia-altra, si inizia con il silenzio e il rispetto, come sulle spiagge di Cutro, oppure davanti al velo che copre il corpo di un bimbo martoriato in ogni parte del mondo.

 

 

[immagine tratta da Unsplash]

 

 

Massimo Cappellano

Massimo Cappellano

frontiera, curiosità, incontro

Vivo a Caltagirone, sono giornalista e bioeticista. Lavoro all’interno dell’Asp di Catania, dove coordino l’Ufficio Stampa interno.  Sono laureato in Storia contemporanea. I miei percorsi di vita e le mie inclinazioni personali mi hanno condotto anche alla Bioetica. Sono autore di diversi saggi sul pensiero moderno e contemporaneo, sulla comunicazione e la bioetica. Per Rubbettino […]

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