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La libertà che non osiamo

Se ne potrà dedurre quella che è probabilmente la verità ultima del puzzle: malgrado le apparenze, non si tratta di un gioco solitario: ogni gesto che compie l’attore del puzzle, il suo autore lo ha compiuto prima di lui; ogni pezzo che prende e riprende, esamina, accarezza, ogni combinazione che prova e prova ancora, ogni suo brancolare, intuire, sperare, tutti i suoi scoramenti, sono già stati decisi, calcolati, studiati dall’altro.

(Georges Perec, La vita. Istruzioni per l’uso)

Possiamo davvero dirci liberi? Che cosa è la libertà?

Siamo in vacanza e possiamo dormire più del solito, le lenzuola sono bianche, appena lavate, il cuscino morbidissimo, il materasso perfetto: né troppo duro, neanche molle. Possiamo alzarci tra poco e fare colazione: possiamo scegliere tra cereali, biscotti e marmellata…o una colazione all’americana. Stare in bagno quanto ci pare. Possiamo gustarci un libro sdraiati in giardino, possiamo andare al cinema o a teatro, fare una passeggiata in centro, giocare a carte o a pallavolo sulla spiaggia.
La settimana prossima torniamo dalle vacanze, ma tutto è ancora pieno di possibilità: possiamo scegliere come vestirci, con chi pranzare, cosa leggere sul treno mentre andiamo al lavoro. Possiamo concederci uno sfizio in più, magari un croissant al ciccolato con il caffè, sbirciando la nostra rivista preferita. Possiamo spingerci con la mente fino a pianificare la vacanza del prossimo anno.

E tuttavia ci capita così spesso di sentirci prigionieri, insoddisfatti, ignavi. Com’è possibile, nonostante tutto, che ci sentiamo comunque prigionieri delle convenzioni, della famiglia, del lavoro, dei legami affettivi in generale e di una vita che a volte facciamo scorrere via al posto di determinarne ogni momento?

Quante volte invochiamo poteri occulti o i cosiddetti “poteri forti” per giustificare la nostra mancanza di libertà? Quante volte indulgiamo nel facile pensiero che ci siano oscure trame che non ci rendono liberi? Ma la nostra esperienza fenomenologica attesta davvero questo? Oppure attesta semplicemente la nostra incapacità di autodeterminarci da processi che sono tutto meno che “poteri forti”, ma che si annidano nella nostra quotidianità tanto quanto si rivelano essere strutture predeterminate dal basso?

Astrologia, Destino, Magia, Superstizione. Non sono forse enormi diversivi che raccontiamo a noi stessi per giustificare quanto siamo incapaci di essere liberi?

Al di là dei paradossi, ma paradossalmente, la libertà rimanda a un certo grado di autolimitazione, di scarto rispetto alla propria libertà. Ci hanno insegnato che essere liberi significa anche rinunciare a parte della propria libertà per vivere in una comunità. Essere liberi significa ingaggiare una battaglia con la propria capacità ideale di fruire di tutte le possibilità per uscirne immancabilmente rinunciatari, sconfitti. Tutto ciò che non scegliamo lascia sempre in noi una traccia di insoddisfazione che in parte ci consuma, in parte ci gratifica mediante il riconoscimento sociale che attesta la nostra coerente idoneità alla libera comunità che esige tuttavia sempre un tributo a priori di libertà individuale. Una contraddizione straordinaria non credete?

L’evidente contraddizione logica è però a sua volta vinta dalla vita stessa. Etty Hillesum, vittima della Shoah, ci insegna che in una vita c’è posto per un campo di concentramento tanto quanto per una fede in Dio, tanto per la miseria più profonda quanto per gli ideali più alti e una vita vissuta pienamente al di là della sua contraddittorietà intrinseca.

E non viviamo ogni giorno una vita intera, e ha molta importanza se viviamo qualche giorno in più, o in meno? Io sono quotidianamente in Polonia, su quelli che si possono ben chiamare dei campi di battaglia, talvolta mi opprime una visione di questi campi diventati verdi di veleno; sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi, ogni giorno – ma sono anche vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo dietro la mia finestra, in una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera fine.

Etty Hillesum

Quante volte stiamo sul bordo della piscina guardando gli altri nuotare? Quante volte non abbiamo il coraggio di tuffarci?

L’acqua è tanto fresca, limpida e fragrante di sfumature che tuttavia si perdono in una vana monotonia, se camminando sul bordo abbiamo per loro solo uno sguardo distratto. Mentre c’è chi prigioniero lo è davvero. Esistono i problemi quotidiani e non sarebbe sensato vivere giocando sempre al ribasso con chi sta peggio, eppure troppo spesso non sappiamo valorizzare la libertà che ci è toccata in sorte.

La mattina ci svegliamo, siamo vivi, respiriamo e siamo liberi. Liberi di renderci conto di noi stessi, liberi di impossessarci della piena consapevolezza di poterci pienamente autodeterminare. Come possiamo ancora esimerci dal non tuffarci nell’acqua?

Matteo Montagner

[immagini tratte da Google Immagini]

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